Come fare perAdempimenti

Società di comodo, test di operatività e perdite fiscali

di Claudio Sabbatini

  • Quando In sede di dichiarazione annuale dei redditi

  • Cosa scade La verifica del test di operatività e delle perdite fiscali

  • Per chi In genere le società (escluse quelle semplici e le cooperative)

  • Come adempiere Vanno determinati i ricavi minimi presunti e verificata la sistematicità delle perdite fiscali

1In sintesi

Per combattere l’utilizzo di schermi societari che, di fatto, non operano, il legislatore ha stabilito delle presunzioni per le quali le società che non presentano un ammontare minimo di ricavi (rapportato all’attivo investito) o che presentano sistematici risultati in perdita devono da un lato versare un minimo di imposte (sulla base di un reddito minimo) e dall’altro subire talune preclusioni (es. rimborso di crediti Iva).
Si considerano società di comodo quelle aventi lo status di società:
non operative;
in perdita sistematica.

2Società non operative

Le disposizioni sono contenute nell’articolo 30, legge 724/1994 che richiede di effettuare il seguente test di operatività:
1) vanno determinati i ricavi minimi presunti, applicando determinate percentuali al costo fiscalmente riconosciuto (articolo 110, comma 1, Tuir; per i beni in leasing si utilizza il costo sostenuto dal concedente, anche in caso di riscatto del bene; cfr. Cm 4 maggio 2007, n. 25/E, par. 3.3; non rileva il valore ai fini del superammortamento; cfr. Cm 12/E/2016, par. 10.2) dei seguenti beni:
partecipazioni, titoli e crediti finanziari (2%), anche se iscritte nell’attivo circolante (Cm 25/E/2007, par. 3.2.1) e anche se beneficiano della partecipation exemption di cui all’articolo 87 del Tuir (Cm 4 maggio 2007, n. 25/E, par. 3.2.1);
immobili e navi (6%), anche se detenuti in leasing finanziario, ma esclusivamente se iscritti tra le immobilizzazioni materiali (e purché non siano in corso di costruzione). Per gli immobili la percentuale di redditività si riduce per gli immobili A/10 (5%), per gli immobili abitativi acquisiti o rivalutati (Rm 20 dicembre 2013, n. 101/E e Cm 27 aprile 2017, n. 14/E, par. 6) nell’esercizio o nei due precedenti (4%) e per gli immobili ubicati nei comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti (1%);
altre immobilizzazioni (15%). Vi rientrano gli impianti e macchinari, le attrezzature industriali e commerciali, gli altri beni materiali (navi escluse), i beni immateriali veri e propri (brevetti, marchi, concessioni, ecc.), nonché i costi pluriennali, al netto degli ammortamenti effettuati in bilancio (es. le spese incrementative su beni di terzi; cfr. Rm 24 luglio 2007 n. 180/E).
In tutti i casi, le percentuali si applicano alla media dei valori dell’esercizio di riferimento e dei due precedenti. Ai fini del computo di detta media, il valore dei beni e delle immobilizzazioni acquistate o cedute nel corso di ciascuno esercizio è ragguagliato al periodo di possesso.
2) i ricavi minimi presunti si confrontano con la media del triennio (stesso periodo di osservazione di cui al punto precedente) dei ricavi effettivi (questi ultimi sono rappresentati dai ricavi, degli incrementi delle rimanenze e degli altri proventi di natura non straordinaria risultanti dal conto economico).
Se dal confronto risulta che i ricavi minimi presunti sono inferiori a quelli effettivi la società si considera non operativa.


Esempio
Una società possiede (in proprietà o leasing) i seguenti beni:
partecipazione nella controllata Y acquistata in data 1 ottobre 2019, al prezzo di 600.000 euro;
un capannone avente costo fiscale di 400.000 euro acquistato diversi anni prima;
macchinari per 110.000 euro (nel 2017), per 220.000 (nel 2018) e per 270.000 (nel 2019).
I ricavi presunti ammontano a:

Partecipazioni:
2017: zero
2018: zero
2019: 600.000 x 92/365 (proporzione ai giorni)
Media del triennio: 50.000
Ricavi presunti: 50.000 x 2% = 1.000

Immobili:
2017: 400.000
2018: 400.000
2019: 400.000
Media del triennio: 400.000
Ricavi presunti: 400.000 x 6% = 24.000

Altre immobilizzazioni:
2017: 110.000
2018: 220.000
2019: 270.000
Media del triennio: 200.000
Ricavi presunti: 200.000 x 15% = 30.000
Ricavi minimi presunti: 55.000

Supponendo che i ricavi, incrementi delle rimanenze e altri proventi, siano stati pari a:
2017: 48.000
2018: 50.000
2019: 52.000
Media del triennio: 50.000
ne deriva che la società risulta essere non operativa, in quanto i ricavi minimi presunti sono superiori a quelli effettivi.

Sono interessati dalla presente disciplina (ambito soggettivo) le società commerciali (Spa, Srl, Snc, Sas), inclusi i soggetti non residente con stabile organizzazione in Italia, mentre sono escluse le società semplici, le società cooperative, le start-up innovative e gli enti (ancorché commerciali).

3Società in perdita sistematica

La disciplina è contenuta nell’articolo 2, commi 36-decies e seguenti, Dl 138/2011 che qualifica le società “in perdita sistematica” i soggetti che, alternativamente, presentano per cinque periodi d’imposta consecutivi:
cinque dichiarazioni in perdita fiscale;
quattro dichiarazioni in perdita fiscale e una con un reddito inferiore a quello minimo determinato a norma dell’articolo 30, comma 3, legge 724/1994.
Se la società presenta una delle due situazioni, si considera in perdita sistematica, con l’effetto che si considera di comodo a decorrere dal successivo periodo d’imposta.


Esempio
Una società ha presentato le seguenti dichiarazioni dei redditi:
2015: perdita fiscale;
2016: perdita fiscale;
2017: perdita fiscale;
2018: perdita fiscale;
2019: perdita fiscale.
2020: società non operativa

4Cause di esclusione e di disapplicazione

Nella dichiarazione dei redditi possono essere indicare alcune cause di esclusione o di disapplicazione delle discipline sopra esaminate.
Alcune di esse si applicano sia alle società non operative sia a quelle in perdita sistematica, mentre altre riguardano solo queste ultime.
Le seguenti cause di esclusione (articolo 30, comma 1, legge 724/1994) si applicano ad entrambe le discipline, per cui al verificarsi di una sola di esse non si applica né la disciplina delle società non operative né quella delle società in perdita sistematica (Cm 11 giugno 2012, n. 23/E, par. 1.1). Però, per le società in perdita sistematica, le cause di esclusione vanno verificate nel periodo d’imposta successivo al quinquennio nel quale la società è in perdita (ovvero nel quinquennio in cui ha dichiarato 4 anni in perdita e, in uno di essi, un reddito inferiore a quello minimo).
Le cause di disapplicazione sono previste dal provvedimento agenzia delle Entrate 14 febbraio 2008 (per le società non operative) e dal provvedimento agenzia delle Entrate 11 giugno 2012 (per le società in perdita sistematica; le cause sono da verificarsi in uno qualsiasi dei periodi d’imposta appartenenti al quinquennio chiuso in perdita). Le cause di disapplicazione devono essere verificate in uno qualsiasi dei periodi d’imposta inclusi nel quinquennio di osservazione.
Inoltre, è sempre possibile vedere disapplicate le norme in esame allorché, a seguito di presentazione di interpello probatorio (articolo 11, comma 1, lettera b), legge 212/2000; articolo 30, comma 4-bis, legge 724/1994;), siano state considerate meritevoli di accoglimento le giustificazioni addotte dal contribuente circa il motivo - oggettivo - del mancato conseguimento di ricavi minimi presunti o di un reddito minimo.
Tra le varie motivazioni (cause oggettive) che possono essere segnalate nell’istanza di interpello ricordiamo alcune di quelle analizzate dalla prassi e dalla giurisprudenza (relativamente alle società non operative):
società immobiliari (Cm 2 febbraio 2017, n. 5/E, par. 4.5; Cm 9 luglio 2007, n. 44/E):
- gli immobili sono in corso di costruzione, e quindi non idonei a produrre ricavi (può essere anche il caso del possesso di terreni per i quali non è stata ancora ottenuta l’autorizzazione all’edificazione o di aree per le quali esistono dei vincoli di inedificabilità);
- viene provata l’impossibilità di locare l’immobile a canoni che consentano di raggiungere i ricavi minimi (es. i locali sono già locati e non si può modificare il canone pattuito contrattualmente;
- un caso analogo riguarda le società che producono energia elettrica tramite impianti che viene venduta al GSE ad un prezzo imposta; cfr. Cm 19 dicembre 2013, n. 36/E, par. 7.1 e 7.2);
- i canoni sono in linea con i dati OMI (Cm 4 maggio 2007, n. 25/E, par. 8; risposta ad interpello 20 febbraio 2019, n. 68);
società in stato di non normale svolgimento dell’attività: es. quello nel quale l’attività non sia stata effettivamente avviata perché la costruzione dell’impianto non è stata ancora completata o non sono state ottenute le autorizzazioni necessario o, ancora, se la società è ancora nella fase di ricerca propedeutica allo svolgimento dell’attività produttiva (Cm 26 febbraio 1997, n. 48/E);
società in liquidazione volontaria: va dimostrata l’inequivocabile intenzione di portare a compimento la procedura (Cm 2 febbraio 2007, n. 5/E, par. 4.1);
holding:
- le società partecipate non hanno sufficienti riserve di utili che, se fossero distribuite, consentirebbero di superare il test di operatività;
- gli utili delle partecipate non possono essere distribuite in quanto vi sono delle perdite pregresse da coprire;
- le partecipate sono in fase di avvio dell’attività o stanno attraversando un periodo di crisi (Cm 2 febbraio 2007, n. 5/E, par. 4.4).
La prassi non ha fornito indicazioni sull’istanza di interpello per fuoriuscire dalla disciplina delle società in perdita sistematica. Secondo la circolare Cndcec 31 ottobre 2011, n. 25/IR, par. 8 nell’istanza occorre indicare le motivazioni che inducono l’imprenditore a continuare l’attività nonostante le perdite reiterate ovvero che sussistono situazioni particolari che giustificano le perdite subìte (es. società di costruzioni che durante la fase di costruzione potrebbe risultare in perdita).
Le società che siano sia non operative sia in perdita sistematica dovranno presentare istanze separate (Cm 23/E/2012, par. 2).
In ogni caso, il contribuente, avverso l’accertamento da parte del Fisco, potrà sempre difendersi con ricorso presso le commissioni tributarie – e contestare lo status di società di comodo – a prescindere dalla presentazione dell’istanza di interpello o di quanto indicato in dichiarazione (Corte di Cassazione, 21 giugno 2016, n. 12777 e Corte di Cassazione, sezioni unite, 30 giugno 2016, n. 13378).

5Conseguenze derivanti dallo status di comodo

Ai fini delle imposte sui redditi, una società di comodo deve determinare un reddito minimo presunto calcolato mediante l’applicazione di apposite percentuali sui valori fiscali utilizzati per effettuare il test di operatività (articolo 30, comma 3, legge 724/1994). Le percentuali vanno applicate al valore fiscale relativo all’esercizio per il quale si effettua il test.
Di seguito le percentuali (articolo 30, comma 3, legge 724/1994), che si differenziano rispetto a quello utilizzate per individuare i ricavi minimi presunti:
1,5% su azioni o quote di partecipazione in società di capitali e di persone, strumenti finanziari, obbligazioni e altri titoli, comprese quelle immobilizzate, aumentato dei valori dei crediti da operazioni di finanziamento;
4,75% su immobilizzazioni costituite da beni immobili (4% per immobili classificati nella categoria A/10; 3% per immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio o nei due precedenti; 0,9% per immobili di qualunque natura situati in comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti) e navi, anche in leasing;
12% su altre immobilizzazioni.

Anche ai fini Irap, alla società di comodo si imputa un valore della produzione calcolata secondo le regole dell’articolo 30, comma 3-bis, legge 724/1994;
deve versare una maggiorazione dell’aliquota Ires del 10,5% sul reddito di cui al alinea precedente. Per i termini di versamento valgono i termini ordinari dell’Ires (cm 4 marzo 2013, n. 3/E, par. 1) e per il pagamento si riportano nel modello F24 i codici tributo 2018, 2019 o 2020, rispettivamente per la prima rata di acconto, per la seconda rata di acconto e per il saldo (Rm 14 maggio 2012, n. 48/E).
non può portare a nuovo (nei periodi d’imposta successivi) le perdite eventualmente realizzate nel medesimo periodo d’imposta, mentre le perdite pregresse possono essere utilizzate esclusivamente in diminuzione della parte di reddito che eccede il minimo presunto.

Ai fini Iva, una società di comodo:
non può ottenere il rimborso del credito Iva esposto in dichiarazione (anche se riferibile a operazioni effettuate negli anni precedenti), né utilizzarlo in compensazione, come neppure può cederlo a terzi. La preclusione non opera per i rimborsi trimestrali, ma il contribuente dovrà restituire quanto ricevute se, in sede di dichiarazione annuale Iva, la società risultasse di comodo. La società potrebbe altresì presentare, in dichiarazione annuale Iva, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (Attestazione delle società e degli enti non operativi) al fine di ritenere, mediante un’autovalutazione e quindi senza bisogno di presentare istanza di interpello (con possibile applicazione di sanzioni amministrative dal 90 al 180% dell’importo non versato; cfr. articolo 5, comma 4, Dlgs 471/1997), che sussistano condizioni oggettive per la disapplicazione della disciplina delle società di comodo (Cm 1 aprile 2016, n. 9/E; Cm 22 luglio 2016, n. 33/E, par. 1);
qualora per tre periodi d’imposta non effettui operazioni Iva per un importo almeno pari ai ricavi minimi presunti, non può compensare il credito Iva neppure con il debito d’imposta risultante dalle successive liquidazioni periodiche.
Le preclusioni sopra viste operano:
anche se la società adeguasse il reddito in dichiarazione a quello minimo presunto (Cm 14 maggio 2014, n. 10/E, par. 3.1);
nel caso di società in perdita sistematica, con riferimento al credito dell’anno in cui essa è di comodo (quello successivo a quello del quinquennio di osservazione).


Esempio
Se la società di cui all’esempio precedente presenta perdite fiscali nel periodo 2015-2019, il credito Iva la cui rimborsabilità/riportabilità è preclusa è quello dell’anno 2020 (primo anno in cui essa si considera di comodo).

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