Controlli e liti

Sottrazione fraudolenta se i proventi in nero vanno su un conto estero

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di Antonio Iorio

L’omessa dichiarazione di un conto estero sul quale affluiscono i proventi dell’attività professionale svolta in evasione di imposta e la contemporanea presenza di debiti tributari, ancorchè in corso di rateazione, configura il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Il profitto di tale illecito, e l’entità e beni sequestrabili, non si quantifica nel debito tributario rimasto inadempiuto ma nella riduzione fraudolenta del patrimonio del debitore. A fornire questa interpretazione è la Corte di Cassazione sez. 3 penale, con la sentenza 37136 depositata ieri.

Un avvocato, che aveva debiti con l’erario per circa 300.000 euro e per i quali aveva in corso la rateazione, risultava essere possessore di un conto in Albania non dichiarato (nel quadro RW) su cui affluivano i proventi in nero della propria attività ammontanti a circa 800.000 euro. Il professionista inoltre, organizzava a più riprese il rientro in Italia di parte di tali somme (126.000 euro circa). Nei suoi confronti, ritenendo integrato il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, anche perché, secondo la tesi accusatoria, si era protestato finanziariamente incapiente ottenendo la rateazione del debito, veniva disposto un sequestro preventivo. La misura era relativa ad un importo equivalente non al debito tributario ma al valore, ben più elevato, delle somme detenute all’estero

Avverso la conferma del provvedimento cautelare da parte del tribunale del riesame, il professionista ricorreva per cassazione lamentando che non fosse configurabile il delitto contestato, in quanto non vi era nessuna condotta fraudolenta ma soltanto la costituzione di un conto estero. Inoltre l’importo da sequestrare al più doveva corrispondere al debito fiscale residuo e non a quello, maggiore, relativo alla disponibilità estera non dichiarata.

La Cassazione ha rigettato l’impugnazione. La sentenza rileva che negli altri atti fraudolenti, previsti nell’articolo 11 del Dlgs 74/2000 per l’integrazione della fattispecie illecita, debbano essere ricompresi sia atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni, sia atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, a sottrarre beni al pagamento delle imposte. Nella specie il Tribunale aveva ritenuto realizzata una diminuzione della garanzia offerta dal patrimonio del debitore fiscale. La pronuncia sembra allargare molto i confini della condotta illecita in argomento, già, negli ultimi anni, oggetto di interpretazioni particolarmente estensive.

Se infatti il deposito in Albania di somme non dichiarate integra questo reato, vi è da chiedersi cosa sarebbe successo se le medesime disponibilità fossero state detenute in Italia, non potendosi realisticamente operare un distinguo in base all’ubicazione dell’istituto di credito. I giudici, poi, ritengono che il profitto del reato e la somma da sequestrare, non sia rappresentato dal debito fiscale oggetto del tentativo di sottrazione ma dall’importo occultato. Anche questa conclusione lascia perplessi perché se l’illecito è finalizzato a garantire il pagamento delle imposte, mal si comprende per quale ragione il profitto non debba essere commisurato a tali importi.

Cassazione, III sezione penale, sentenza 37136 del 26 luglio 2017

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