Controlli e liti

Spese compensate anche se l’Agenzia perde

Alla base della singolare decisione 13520 della Cassazione la mancata indicazione di una prova

di Laura Ambrosi

Anche se il ricorso per Cassazione dell’ufficio è infondato, le spese di lite possono essere compensate. È questa la singolare conclusione cui è giunta la Suprema corte con l’ordinanza n. 13520 depositata il 2 luglio. La vicenda trae origine dalla contestazione dell’Agenzia nei confronti di un contribuente di maggiori imposte dirette per la cessione di un terreno. Il nuovo valore era desunto sulla base di quanto definito ai fini del registro. L'interessato impugnava l'atto e tra l’altro, provava allegando alcuni documenti, l’effettiva somma incassata dalla cessione.

Il giudice di prime cure rigettava il gravame, ma la decisione veniva riformata in appello.

L’Agenzia ricorreva in Cassazione lamentando l’errore della Ctr per non aver attribuito alla definizione ai fini del registro valore di presunzione qualificata, con inversione dell’onere della prova.

La Suprema corte ha rigettato l’impugnazione dell’Agenzia precisando che non è a carico dell’ufficio la dimostrazione dell'effettivo prezzo di vendita.

Tuttavia, la Ctr non si era limitata a mere asserzioni sull’idoneità del valore contestato, ma aveva verificato la prova documentale sull’ammontare del corrispettivo incassato. Per la Cassazione «riguardo a tale prova, sebbene non sia stata specificamente indicata, viene fatto riferimento alla prova documentale prodotta nel precedente giudizio di primo grado e non oggetto di contestazione». Da qui la conferma della sentenza di appello favorevole al contribuente.

Tuttavia i giudici di legittimità hanno compensato le spese di lite per la mancata specifica indicazione della prova fornita dal contribuente, che avrebbe indotto l’Agenzia al ricorso infondato. Tale conclusione lascia perplessi.

Innanzitutto, l’articolo 385 del Codice di procedura civile prevede che se la Cassazione rigetta il ricorso, deve condannare il ricorrente alle spese. In base all’articolo 92 del Codice di procedura civile in caso di soccombenza reciproca o di assoluta novità della questione , o mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese. Nella specie, è stata disposta la compensazione nonostante la totale soccombenza dell’ufficio e l’assenza delle ipotesi previste. Secondo i giudici, l’agenzia sarebbe stata indotta a proporre il ricorso (infondato) a causa della mancata specifica indicazione della prova fornita.

Circostanza che appare contraddittoria: se davvero non vi fosse stata l’indicazione della prova, la Ctr non avrebbe potuto decidere sul punto e quindi il ricorso dell’ufficio doveva essere accolto.

Se, invece la mancata indicazione della prova era riferita ad una mancanza della difesa nel corso del giudizio di legittimità, il contribuente non poteva aver indotto l’ufficio alla proposizione del gravame (l’errore del contribuente è successivo al ricorso dell’Agenzia).

La posizione dei giudici di legittimità sembra avallare una prassi frequente nei giudizi tributari. Le commissioni raramente condannano il Fisco alle spese, nonostante la soccombenza e, in ogni caso, a parità di situazioni, l’entità della condanna contro il contribuente è ben più alta di quella prevista per l’ufficio.

La prassi evidenzia la disparità di trattamento tra Fisco e contribuente che costringe spesso quest’ultimo, pur ritenendo illegittima la pretesa, a raggiungere un accordo per evitare onerosi contenziosi.

Sull’altro fronte i funzionari non solo non subiscono ripercussionidal proseguire contenziosi, talvolta privi di fondamento, ma con buona probabilità, possono evitare anche la condanna del proprio ufficio.

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