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Spese di sponsorizzazione, deducibilità a rischio per mancanza di inerenza e costi eccessivi

Gli orientamenti discordanti della Cassazione sul concetto di inerenza e sulla congruità della spesa creano incertezze sulla deducibilità dei costi e sui margini del potere accertativo

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di Alessandro Borgoglio

Alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Cassazione 21452/2021) e prassi in materia (circolare 34/E/2009, paragrafo 3.1; Assonime, approfondimento 6/2013), le spese di sponsorizzazione rientrano oggi tra quelle di pubblicità deducibili integralmente nell’anno di sostenimento (salvo casi particolari), se dotate dei requisiti generali di deducibilità dei componenti di reddito di cui all’articolo 109 del Tuir e, ovviamente, del prioritario presupposto di inerenza, come delineato dalla giurisprudenza di legittimità (fanno eccezione le sponsorizzazioni di Asd e Ssd, non oggetto del presente intervento).

Sponsorizzazioni: dalle spese di rappresentanza alla pubblicità
È proprio per l’inerenza, e in particolare a causa dell’evoluzione giurisprudenziale su di essa, che permangono ancora oggi le problematiche interpretative sulla corretta deducibilità delle spese di pubblicità e di sponsorizzazione e, soprattutto, sui limiti fiscali all’accertamento di tali fattispecie: il tema da vagliare, quindi, riguarda la possibilità per l’erario di contestare la congruità dell’importo delle spese di sponsorizzazione, in quanto ritenute dal Fisco antieconomiche o, comunque, non adeguate al ritorno commerciale da esse ritraibile o anche non proporzionate al volume d’affari dell’impresa, nonché l’idoneità di tali spese di sponsorizzazione a incrementare il fatturato, in quanto erogate a soggetti che operano in settore d’attività diverso da quello in cui opera l’impresa erogante.

Illuminante è a questo proposito la recentissima Cassazione 11324/2022, con cui è stato ricordato, innanzitutto, che è stata superata la nozione fiscale di inerenza correlata a una valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) o congruità della spesa (tra le tante, Cassazione 10914/2015, 12168/2009, 7340/2008, 16826/2007) ed è invece stato stabilito che il principio dell’inerenza esprime la riferibilità dei costi sostenuti all’attività d’impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, escludendo i costi che si collocano in una sfera a essa estranea, e conseguendone che l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti a un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo, anche se l’antieconomicità e l’incongruità della spesa possono essere indici rivelatori del difetto di inerenza (dopo il leading case della Cassazione 450/2018, si vedano, in senso conforme, Cassazione 3170/2018, 27786/2018, 1610/2019, 30367/2019, 25350/2020, 26767/2020).

Per la Cassazione 11324/2022, mentre in base all’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’inerenza doveva essere valutata attraverso un giudizio di carattere quantitativo, le spese di sponsorizzazione erano ritenute deducibili ove il soggetto (anche se non titolare del marchio), comunque, traeva dallo sfruttamento del segno distintivo un’utilità per il potenziale incremento della propria attività commerciale, invece alla luce del condivisibile orientamento che correla il concetto di inerenza a un giudizio di carattere qualitativo, i costi di sponsorizzazione sono deducibili dal reddito di impresa ove risultino inerenti all’attività della stessa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, esclusa ogni valutazione in termini di utilità o vantaggio, potenziale incremento per l’attività imprenditoriale medesima.

È stata quindi bocciata la tesi del Fisco per cui le spese di sponsorizzazione sarebbero state da recuperare a tassazione, in quanto si trattava di erogazioni per l’esposizione del solo logo della società sponsor, senza alcun riferimento ai suoi prodotti, da parte di un pilota di kart impegnato in gare sportive internazionali e, quindi, in ambiente diverso da quello dove venivano commercializzati i prodotti di largo consumo propri della società.

Analogamente, gli Ermellini l’anno scorso hanno bocciato la decisione di merito con la quale era stata stabilita la non inerenza delle spese di sponsorizzazione «sulla base della sproporzione del costo assunto rispetto al potenziale ritorno commerciale offerto dalle manifestazioni sponsorizzate (…) e, quindi, avendo come riferimento la correlazione o corrispondenza tra costi e ricavi e il ritorno dell'investimento, anziché l’estraneità all’attività imprenditoriale della società contribuente» (Cassazione 6368/2021).

Ancora più esplicita è stata poi la Suprema Corte, con l’ordinanza 30024/2021, per cui, «i costi di sponsorizzazione sono deducibili dal reddito di impresa ove risultino inerenti all’attività della stessa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, esclusa ogni valutazione in termini di utilità o vantaggio, potenziale incremento per l’attività imprenditoriale medesima».

Gli orientamenti discordanti
Fino a qui sembrerebbe quindi consolidarsi un orientamento uniforme della Cassazione sul tema, ma purtroppo non è così. Basti considerare la confusionaria ordinanza 6386/2022 (gemella 6528/2022), che addirittura è giunta - erroneamente - a correggere la decisione di merito perché aveva ricompreso «le spese di sponsorizzazione entro quelle di pubblicità anziché, come sarebbe stato corretto, in quelle di rappresentanza».

Ancora più distoniche sono poi le recentissime ordinanze gemelle 2596, 2597, 2598 e 2599 del 28 gennaio 2022, con cui i giudici di piazza Cavour si sono occupati dal caso di un pittore contrattualmente impegnato a mettere a disposizione della società sponsor spazi pubblicitari, inserendo il logo della sponsorizzatrice in cataloghi, locandine, cartoline e brochure nelle manifestazioni dell’attività di promozione artistica cui avrebbe partecipato, in occasione di fiere e mostre personali di pittura su tutto il territorio nazionale e internazionale. Il Fisco aveva contestato il difetto di inerenza delle spese di pubblicità, ritenute abnormi (oltre 200mila euro) per le forme prescelte rispetto all’attività esercitata dalla società e ingiustificate in relazione al volume d’affari della stessa.

La Cassazione, dopo aver ricordato il passaggio dal precedente concetto di inerenza a quello attuale, è giunta però alla conclusione che «Quello che deve comunque esigersi è la prova dell’utilità del servizio remunerato». Da qui la conferma della decisione di merito, che aveva dato ragione al Fisco, considerata «l’incongruenza tra l’oggetto dell’attività d’impresa - intermediazione nel commercio di prodotti alimentari e in particolare di prodotti ittici - e la generalità dei soggetti interessati all’attività artistica (…), definito pubblico di nicchia, lontano dalla comune clientela della società», nonché l’irragionevolezza del fatto che la società «per quel tipo di pubblicità, spendesse il 39% dei ricavi complessivi fino ad arrivare a chiudere il bilancio in perdita, così ponendo in discussione la logica economica dell’impresa»; peraltro, il pittore neppure registrava i compensi relativi alle fatture emesse nei confronti della società, o ne registrava importi inferiori. Insomma, un completo dietrofront della Cassazione rispetto ai più recenti arresti sopra menzionati.

Del resto, già l’anno scorso, proprio in riferimento a spese di sponsorizzazione, la stessa Suprema Corte aveva stabilito che «L’amministrazione può procedere al disconoscimento dei costi anche a causa della loro eccessività, cioè per il carattere antieconomico della spesa, imponendo così al contribuente di provare a giustificare quest’ultima; (…) da tale prospettiva, l’insindacabilità delle scelte imprenditoriali, che nessuno mette in discussione, non può certo servire a sollevare il contribuente dal dovere di chiarire le ragioni economiche di una scelta altrimenti incomprensibile, a cagione di una apparentemente totale assenza di inerenza dell’impegno economico rispetto all’importanza dell’azienda (Cassazione 11932/2021, 17057/2020).

Infine, occorre ricordare che, quando viene eccepita dal Fisco l’antieconomicità di una spesa, tale circostanza, per la consolidata giurisprudenza di legittimità, è già di per sé sufficiente a fondare la pretesa impositiva, in assenza di prova contraria di cui è onerato il contribuente (tra le tante, Cassazione 1282/2021, 26974/2020), e ciò anche considerando la nuova interpretazione del concetto di inerenza (si veda Cassazione 18391/2019, 18904/2018).

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