Adempimenti

Spesometro al bivio delle correzioni sulle partite Iva cessate

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di Alessandra Caputo e Gian Paolo Tosoni

Lo spesometro chiama gli operatori a una valutazione se la comunicazione dell’Agenzia riguarda la partita Iva cessata di un fornitore. In questo caso, infatti, si può non adottare comportamenti successivi oppure cercare di mettersi in regola qualora emerga effettivamente un errore. Si tratta di una delle questioni che emergono più di frequente dai quesiti arrivati al forum spesometro del Sole 24 Ore. Infatti uno dei principali esiti con cui i contribuenti si stanno confrontando è quello di accettazione del file con segnalazione di partita Iva del fornitore cessata.

Le possibili situazioni

In tal caso, si deve distinguere tra diverse situazioni.

La prima è quella in cui, a seguito di controlli (sito dell’agenzia delle Entrate o visura Camera di Commercio), si accerta che la cessazione della partita Iva sia avvenuta in data successiva a quella di emissione della fattura; in tal caso non si deve fare alcuna azione. Ugualmente, nulla si deve fare qualora la partita Iva risultasse ancora attiva (e quindi la segnalazione della Agenzia fosse errata).

Maggiore attenzione merita, invece, il caso in cui la fattura sia stata emessa da un soggetto che, al momento dell’emissione della fattura, aveva effettivamente chiuso la partita Iva. In questo caso, il file è stato accettato e quindi il contribuente potrebbe fare nulla. Tuttavia, è probabile che l’Agenzia intervenga in seguito con il recupero dell’Iva detratta in quanto applicata da un soggetto fiscalmente non esistente. Ciò comporterebbe l’apertura di un contenzioso e la necessità di invocare la clemenza delle Commissioni tributarie dimostrando la buona fede.

Sebbene, infatti, la giurisprudenza, sia nazionale che comunitaria, si sta consolidando nel senso di ammettere la detrazione dell’imposta in questi casi (fra tutte Cassazione 6864/2016), c’è comunque da considerare che il contenzioso va intrapreso.

Ad esempio, i giudici hanno confermato in diverse sentenze il principio secondo cui la detrazione dell’imposta non può essere disconosciuta senza fornire oggettiva dimostrazione della partecipazione dell’acquirente alla frode e che l’amministrazione finanziaria non può esigere che il cessionario verifichi che l’emittente abbia la qualità di soggetto passivo e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e pagamento dell’Iva (tra le altre, Corte di giustizia europea, sentenza 21 giugno 2012 cause C-80/11 e C142/11).

La via delle correzioni

Il contribuente potrebbe anche intervenire per correggere l’errore. Si pensi ad esempio al committente di un agente di commercio che ha continuato a emettere fattura anche dopo la chiusura della partita Iva. Infatti l’accettazione con segnalazione del file inviato non preclude il ravvedimento operoso.

In verità nell’articolo 26 del Dpr 633/1972, relativo alle note di variazione, non si trova facilmente il percorso per correggere l’errore se non con l’ausilio dei commi 7 e 8 relativi alla correzione di errori materiali. Infatti, una fattura emessa con applicazione dell’Iva in modo errato dovrebbe essere corretta dall’emittente ma, trattandosi di soggetto cessato, è una strada non percorribile. Però non si può impedire al cessionario/committente di regolarizzare la sua posizione sapendo che facilmente l’Agenzia non gli riconoscerà la detrazione. Il ravvedimento riguarderà la detrazione di un’imposta non spettante (articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997) con la sanzione del 90% da definire nella misura di 1/9 (regolarizzazione entro 90 giorni) o di 1/8 (regolarizzazione entro 1 anno). Risulta sbagliata anche la comunicazione della liquidazione periodica in cui tale imposta è stata detratta.

Più complicata è, invece, la possibilità di correggere questo spesometro e cioè quello relativo al primo semestre in quanto la correzione è emersa dopo il 30 giugno. Sarebbe correggibile qualora si intendesse operare la correzione con riferimento al periodo in cui è stata registrata l’operazione originaria. Resta inteso che in questa situazione, il cessionario/committente potrà sempre rivalersi sul fornitore in sede civile al fine di ottenere le somme versate a titolo di imposta risultante indetraibile.

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