Contabilità

Sponsor e pubblicità, la Cassazione cambia rotta e assimila le spese

Nelle sue recenti pronunce la Corte distingue tra esborsi pre e post Finanziaria 2008. Sponsorizzazioni sportive non più identificate con la rappresentanza

di Giorgio Gavelli

Sulle spese di sponsorizzazione, oggetto di tante riprese fiscali in sede di accertamento (spesso avallate dai giudici tributari), giungono finalmente buone notizie dalla giurisprudenza della Cassazione. Con alcune recenti ordinanze, la Suprema corte ha infatti trattato – risolvendoli a favore del contribuente – aspetti tra i più delicati in questa materia:
- l’inerenza;
- la qualificazione;

- il caso del beneficiario costituito da società e associazioni sportive dilettantistiche (Asd).

Lo spartiacque del 2008

L’ordinanza 21452/2021, depositata lo scorso 27 luglio, ha ad oggetto due avvisi di accertamento, rivolti a un’impresa individuale, riguardanti l’indeducibilità delle spese di sponsorizzazione sostenute in favore di Asd, per mancanza di inerenza e per antieconomicità.
La pronuncia ha il pregio di discriminare, forse per la prima volta, ai fini della qualificazione giuridica dei costi, tra spese sostenute prima e dopo la modifica operata dall’articolo 1, comma 33, della Finanziaria 2008 (legge 244/2007). In tale sede, intervenendo sul testo del comma 2 dell’articolo 108 del Tuir vennero individuati i requisiti di inerenza e congruità delle spese di rappresentanza tramite rinvio al decreto 19 novembre 2008, che non riguarda, invece, le spese di pubblicità.
In base al decreto, una delle caratteristiche essenziali delle spese di rappresentanza (più volte richiamata dalla relazione accompagnatoria e dalla circolare 34/E/2009) è la gratuità: caratteristica assente nel contratto di sponsorizzazione, che è un negozio a prestazioni corrispettive.

Per anni la Corte ha sottovalutato questo aspetto, fondando la discriminazione su altri parametri: «il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite» (Cassazione 10440/21, 25021/18 e 3087/16).

Così ragionando, le sponsorizzazioni subivano le limitazioni dettate per le spese di rappresentanza. Ciò, purtroppo, anche per i costi sostenuti dal 2008 (si veda ad esempio Cassazione, 14473/2018), i quali avrebbe invece dovuto essere ricondotti alla nuova disciplina, e qualificati come spese di pubblicità.

L’inerenza e la congruità

Ora la Corte sembra prendere coscienza del fatto che esiste un “prima” e un “dopo” rispetto al periodo d’imposta 2008. Inoltre, l’ordinanza affronta in modo molto deciso il caso in cui la spesa presenti i caratteri richiesti dall’articolo 90, comma 8, della legge 289/2002: ossia venga sostenuta in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva, per un importo annuo non superiore a 200mila euro.

In questo caso, la giurisprudenza della Corte (e della gran parte dei giudici di merito: da ultimo, Ctr Veneto 47/02/2021) è oramai consolidata nell’individuare una presunzione assoluta di inerenza e congruità nelle spese sostenute, qualificate come “di pubblicità” purché si possa dimostrare la specifica attività promozionale realizzata dal soggetto sponsorizzato a favore dell’immagine e dei prodotti dello sponsor (pronunce 20224/2021, 15179/2020, 14626/2020, 11797/2019, 13508/2018, 14232/2017 e tante altre).

Il credito d’imposta

La norma (abrogata dall’articolo 52 del Dlgs 36/21, ma riproposta al comma 3, articolo 12, dello stesso decreto) assomiglia molto al comma 5 dell’articolo 81 del Dl 104/20 che ha introdotto, per le spese sostenute nel secondo semestre 2020, un credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari in ambito sportivo, con l’esclusione delle Asd aderenti al regime ex legge 398/1991. Si tratta di un beneficio ancora attuale, reso applicabile dall’articolo 10-bis del Dl Sostegni bis 73/21 anche alle spese sostenute nel 2021. Viste le controversie scaturite, fa bene il legislatore a chiarire fin da subito la natura della spesa (pubblicità e non rappresentanza), anche se – qualora la Cassazione confermasse l’orientamento delle ultime pronunce – non ce ne sarebbe più la necessità.

I PUNTI CHIAVE

La giurisprudenza più recente
● Inerenza da valutare sotto l’aspetto qualitativo (e non quantitativo) delle spese
(ordinanze 21452/21, 6368/21, sent. 30366/19);
● Sponsorizzazioni di Asd con “presunzione assoluta” di inerenza e congruità in presenza di determinati requisiti, art. 90, comma 8, legge 289/2002
(ord. 20224/21, 15179/20, 14626/20, 13793/20 e 11797/19);

● Dal 2008 spese di sponsor da qualificare alla luce del Dm 19 novembre 2008
(ordinanza 21452/21)
;
● Se l’Agenzia contesta la fatturazione per operazioni inesistenti nella loro interezza non può, in corso di causa, mutare la contestazione in una sovrafatturazione
(ordinanza 21225/21);

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©