Srl ristrette, prestanome in salvo
Il ribaltamento sul socio (a titolo di dividendo non dichiarato) del maggior reddito accertato nei confronti di società di capitali a ristretta base sociale è illegittimo nel caso sia dimostrato che si tratti di un semplice “prestanome”, solo apparentemente socio ma, in realtà, completamente estraneo alla gestione. È l’interessante principio di diritto che si ricava dalla decisione 311/8/2017 della Ctr Sardegna, sezione staccata di Sassari (presidente Rosella, relatore Cagnoli). Allo stesso risultato (annullamento dell’atto di accertamento) è giunta la Ctr Puglia, sezione staccata di Foggia, con la sentenza 3020/27/2017 (presidente Ventura, relatore Torricelli). In quest’ultimo caso, lo stop alla trasmissione sul socio del maggior reddito imputato alla società a base ristretta si deve all’annullamento dell’atto di accertamento notificato alla società, considerato dai giudici come necessario presupposto a una valida chiamata in causa del socio.
È sempre molto diffuso il contenzioso riguardante i soci di piccole società di capitali accertate dal Fisco (si veda Il Sole 24 Ore del 16 ottobre scorso). Infatti, gli uffici fiscali da tempo estendono anche ai soci l’accertamento di maggior reddito a carico di società di capitali a base familiare o, comunque, ristretta, richiedendo a tali soggetti le imposte dovute sulla rispettiva percentuale di utile, presuntivamente distribuito in nero. Anche se questa “estensione” sul socio non è prevista normativamente, la Corte di cassazione, con orientamento costante, ha considerato legittima la presunzione, salva la facoltà del contribuente di fornire in giudizio la prova che i maggiori ricavi non sussistono o, comunque, non sono mai stati distribuiti.
Proprio in questa direzione si orientano le motivazioni maggiormente efficaci alla base dei ricorsi di molti contribuenti. A volte è possibile dimostrare con successo l’estraneità del singolo socio alla gestione, ovvero (ancora più efficacemente) il dissidio sussistente con i soci “di riferimento”. Appare, infatti, più verosimile che chi possiede una partecipazione di scarso rilievo e chi si sia negli anni opposto alle scelte di gestione non abbia avuto alcun ruolo nella “spartizione” di un eventuale utile extracontabile, destinato alle tasche dei soci “dominanti”. In tal caso, quindi, la ripartizione “pro quota” applicata dagli uffici non sembra per nulla cogliere nel segno, come confermato dalla stessa Cassazione (ordinanze 923/2016 e 1932/2016).
Nel caso trattato dalla Ctr sarda, il socio chiamato a rispondere dall’agenzia delle Entrate ha documentalmente dimostrato di essere un semplice fiduciario prestanome dell’amministratore, il quale, pur possedendo nominalmente il solo 3% delle quote, aveva tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione. In presenza di simili prove, non è verosimile che il prestanome fosse a conoscenza di ricavi e, soprattutto, di utili occulti, per cui, secondo i giudici, la presunzione di distribuzione in nero perde di credibilità.
I giudici foggiani confermano, d’altro canto, un principio già affermato dalla Cassazione (pronunce 29162/2017, 13084/2017, 7894/2016 e 24793/2015): l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società, per motivi di merito, travolge l’accertamento sui soci.
Ctr Sardegna, sentenza 311/8/2017