Stabile organizzazione, i rischi incidono sull’utile
La nozione di stabile organizzazione (articolo 162 del Tuir) è stata modificata dalla legge di bilancio 2018 per tener conto degli ultimi orientamenti: articolo 5 del modello Ocse e Final report dell’action 7 del Beps.
È utile soffermarsi sui nuovi commi 6 e 7, che distinguono l’agente dipendente (che è stabile organizzazione) da quello indipendente (che non lo è), fermo restando che l’individuazione del reddito tassabile non è agevole. Quindi, si ha stabile organizzazione personale se un soggetto (persona fisica o giuridica) agisce nello Stato per conto di un’impresa non residente e abitualmente conclude contratti o opera ai fini della loro conclusione, senza modifiche sostanziali da parte dell’impresa, e questi contratti sono in nome dell’impresa o relativi al trasferimento della proprietà o del diritto di utilizzo di suoi beni.
La norma si estende ai contratti di fornitura di servizi. In questi casi, tutte le attività svolte dal soggetto sono attratte dalla stabile organizzazione dell’impresa non residente, a meno che non si tratti di attività rientranti fra quelle dell’articolo 162 comma 4 (cosiddetto «negative list»). Questa impostazione mira a superare la precedente lettura dell’Ocse di tipo formale, per cui non si configurava stabile organizzazione personale in presenza di un contributo da parte del soggetto residente alla conclusione degli accordi, laddove poi gli stessi fossero stati firmati all’estero dall’impresa non residente. Il nuovo approccio mira a configurare la stabile organizzazione personale dando rilievo al luogo in cui i contratti sono negoziati, indipendentemente da quello in cui sono legalmente conclusi (circolare Assonime 15/18). Vanno vagliati i casi in cui il commissionario nazionale non stipuli i contratti in nome dell’impresa estera ma, comunque, svolga un ruolo decisivo nella fase di conclusione, tanto che il contenuto viene accettato dall’impresa estera senza modifiche (circolare Gdf 114153/18).
Ai sensi, invece, del comma 7 non si configura stabile organizzazione quando il soggetto operi nel territorio dello Stato per conto di un’impresa non residente in qualità di agente indipendente e agisca per l’impresa nell’ambito della propria ordinaria attività. Tuttavia, quando l’agente opera esclusivamente (o quasi) per conto di una o più imprese alle quali sia correlato (ai sensi del comma 7-bis) non può considerarsi indipendente.
Il passo successivo consiste nell’attribuzione dei profitti alla stabile organizzazione rappresentata dall’agente dipendente. A questo riguardo torna utile il Rapporto Ocse del 22 marzo 2018: in presenza di un agente dipendente, il profitto attribuibile alla stabile organizzazione non è l’intero profitto della transazione, ma quello che sarebbe stato pattuito per la medesima transazione fra parti indipendenti (articolo 7 modello Ocse).
La difficoltà sta nel fatto che l’agente dipendente può prescindere dalla sede fissa, mancando così qualsivoglia nesso territoriale. In ogni caso, il Rapporto Ocse prevede l’applicazione del cosiddetto Aoa (Authorized Oecd approach) anche alla stabile organizzazione personale. L’Aoa comporta l’applicazione del principio dell’«arm’s length», tipico del transfer pricing, per la valorizzazione dei rapporti tra la stabile organizzazione e l’impresa estera. Tuttavia, la determinazione dell’utile della stabile organizzazione personale non è stata chiarita nemmeno col Rapporto Ocse.
Si dovrebbe applicare l’analisi funzionale, mediante l’identificazione delle «significant people functions» che l’agente esercita per conto dell’impresa o di quelle funzioni che sono rilevanti ai fini della gestione dei rischi (di magazzino, di credito, di valuta). Quindi, in funzione dei rischi sopportati, cambia l’attribuzione del profitto. Ma potendo l’agente dipendente non avere personale, il ragionamento rischia di svuotarsi di significato. Anche l’Ocse non esclude che in certi casi l’utile attribuibile alla stabile organizzazione personale sia nullo.