Controlli e liti

Studi di settore compatibili con la Ue

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di Giovanni Parente

Gli studi di settore superano il primo esame di diritto comunitario. Per l’avvocato generale della Corte di giustizia Nils Wahl, nelle conclusioni rese ieri sul procedimento C-648/16 , lo strumento è in linea con le regole dell’Unione europea. La proposta dell’avvocato generale alla Corte rispetto alla questione sollevata dalla Ctp di Reggio Calabria è di rispondere che né il principio di proporzionalità né quello di neutralità fiscale relativo all’Iva «ostano» alla possibilità di accertare l’imposta effettivamente dovuta con un metodo induttivo basato sugli studi di settore che stimano i probabili ricavi di determinate categorie di contribuenti. Questo però a condizione che la normativa di riferimento «sia applicata in conformità con gli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea». E, aggiunge l’avvocato generale, «spetta al giudice del rinvio determinare se la concreta applicazione di tale normativa al caso specifico contrasti con tali principi, tenuto conto di tutte le circostanze di cui al procedimento principale».

La querelle nasce da un avviso di accertamento nei confronti di una professionista, la quale ha contestato nel ricorso che lo studio di settore applicato nei suoi confronti dall’ufficio non fosse quello corretto e che l’importo dell’Iva richiesto fosse determinato sulla base di uno studio che non considerava le attività concretamente svolte. Da qui la richiesta della Ctp alla Corte di giustizia di precisare se la norma italiana sugli studi di settore fosse o meno in linea con le regole Ue.

Per l’avvocato generale l’utilizzo degli studi di settore «appare rientrare nel margine di discrezionalità che la direttiva Iva riconosce agli Stati membri nell’individuare le misure e le sanzioni appropriate per assicurare la riscossione dell’imposta per intero e prevenire l’evasione».

Qualsiasi rettifica effettuata dall’amministrazione fiscale deve essere in grado di condurre a risultati veritieri sull’ammontare dell’Iva spettante allo Stato, per cui gli studi di settore, in quanto strumenti per il recupero dell’Iva, «devono essere accurati, attendibili e aggiornati». Inoltre, tale meccanismo di accertamento induttivo deve prevedere «un contraddittorio con il contribuente e la possibilità per quest’ultimo di offrire la prova contraria alle presunzioni utilizzate dall’amministrazione».

Sarà ora la Corte di giustizia a decidere se promuovere definitivamente gli studi di settore, già destinati a essere sostituiti dagli Isa .

Corte Ue, causa C-648/16, le conclusioni dell’avvocato generale

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