Controlli e liti

Sulle frodi Iva sentenza meditata. Ma serve un argine alle sperequazioni nel diritto

di Andrea Carinci

A distanza di breve tempo, con la sentenza n. 2210/16 , la Cassazione dà immediato riscontro alla giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue, che ha ritenuto in contrasto con il diritto comunitario la disciplina sulla prescrizione dei reati in materia di gravi frodi Iva (Cge dell’8 settembre 2015, causa c-105/14, Taricco).
La sentenza è certamente apprezzabile. Non si accontenta, infatti, de ruolo di “mero passacarte” della giurisprudenza comunitaria, ossia di limitarsi a prenderne atto per trarne le dovute implicazioni, ma si preoccupa di vagliarne il rigore argomentativo, quasi a voler mandare il messaggio di una piena condivisione ed adesione a quella soluzione giurisprudenziale. Impressione, questa, che trova poi conferma nell’ampia digressione argomentativa che la Corte conduce per giustificare la non invocabilità, nel caso di specie, dei c.d. controlimiti.

Altrimenti detto, della non configurabilità qui dell’esigenza di investire la Corte Costituzionale sul possibile contrasto tra la soluzione comunitaria, la cui prevalenza sull’ordinamento nazionale impone la disapplicazione della disciplina interna contrastante, con i principi fondamentali ed i diritti inviolabili sanciti dalla nostra Costituzione.
L’impressione che si ritrae, quindi, è di una sentenza ampiamente meditata, espressione di un preciso convincimento della Suprema Corte. Vero è, semmai, che l’impeto argomentativo ha condotto la Corte a sollevare una serie di interrogativi lasciati irrisolti e che quindi, con ogni evidenza, esigeranno di un chiarimento futuro (in relazione all’ambito di operatività della disapplicazione degli articoli 160 e 161, se coprono solo le frodi o anche altri reati in materia di Iva? Con riguardo al parametro della gravità, se deve essere riferito ad ogni singolo reato oppure alla totalità dei reati in continuazione ?).

Si tratta però di sfaccettature interpretative, di mere precisazioni di un insegnamento comunque puntuale: in materia di gravi violazioni Iva non possono essere invocati i limiti alla prescrizione dettati dall’art. 160, co. 3, e dall’art. 161, co. 2, del c.p., per contrasto con l’art. 325 del Tfue, che, in ossequio al «principio di assimilazione», impone agli Stati membri di adottare, per la lotta contro le frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Ue, le stesse misure di cui ordinariamente si avvalgono per combattere le frodi che ledono i propri interessi finanziari nazionali.

In tutto questo quadro, residua una perplessità. Ancora una volta si conferma infatti la coesistenza, all’interno del medesimo ordinamento, di microsistemi normativi, portatori di regole, prima che di valori, profondamente diverse; e ciò, nonostante l’oramai compiuta compenetrazione delle fonti normative nazionali e comunitarie. Accade così che medesime condotte ricevano trattamenti profondamente diversi, per la sola ragione che coinvolgano o meno ambiti coperti da interessi e/o dalla normativa comunitaria. È il caso del valore del giudicato, del contradittorio procedimentale e, oggi, dei termini di prescrizione. Forse è giunto il tempo di interrogarsi se sia ancora tollerabile che la prevalenza del diritto dell’Unione si traduca e possa giustificare trattamenti tanto sperequati tra i consociati all’interno del medesimo ordinamento.

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