Imposte

Superbonus per tutti al 90%, quoziente familiare sulle villette

<span id="U401889457876iqG" style="">Sul tavolo la relazione al Parlamento sulle risorse 2022 e la Nadef con i saldi per la manovra. Tra 15 e 18 miliardi per l’energia, poi Flat tax e pensioni. Coperture da reddito di cittadinanza e taglio costi</span>

di Marco Mobili e Gianni Trovati

Nelle coperture della manovra entra anche la «manutenzione straordinaria» del Superbonus. Che dal 2023 scenderà dal 110% al 90% per i condomini, e riaprirà le porte, con la stessa percentuale, alle abitazioni unifamigliari: a patto però che siano utilizzate come prima casa da proprietari che rientrino in una soglia (ancora da fissare) di reddito, calcolata in base al quoziente famigliare. Proprio qui arriva l’altra grande novità allo studio del governo, cioè il debutto del quoziente nel sistema fiscale per misurare il reddito della famiglia, con una mossa che nei programmi del centrodestra dovrebbe allargarsi progressivamente a tutto l’impianto dell’Irpef mettendo in soffitta il contestato Isee.

Sul Superbonus, in discesa ulteriore rispetto alle prime ipotesi, poggia insomma un capitolo chiave della legge di bilancio nella proposta governativa al Parlamento, che si articolerà sui numeri attesi domani pomeriggio nel consiglio dei ministri chiamato a esaminare la Nadef programmatica e la relazione al Parlamento per sbloccare le risorse da destinare al decreto Aiuti-quater. Su quest’ultimo punto i numeri sono ancora in corso di affinamento alla Ragioneria generale anche alla luce della certificazione dell’extragettito di ottobre: in gioco c’è la decisione di utilizzare almeno 10 miliardi per la proroga a dicembre dei crediti d’imposta e il rafforzamento del bonus sociale per le famiglie all’interno di un margine fiscale più ampio. In questo quadro può tornare in gioco anche la replica del bonus da 150 euro per i redditi più bassi, oltre all’anticipo a fine 2022 di alcune spese in calendario per il prossimo anno. La relazione dovrebbe essere votata insieme alla Nadef giovedì 10 al Senato, mentre il calendario della Camera, condizionato dal Dl Aiuti-ter, sarà deciso lunedì. In ogni caso correrà parallelo, per aprire la strada al consiglio dei ministri con il nuovo decreto Aiuti entro la prossima settimana.

Ma il problema fondamentale per i conti pubblici è concentrato sul 2023 e seguenti, quindi sulla manovra. Negli ultimi calcoli del Mef l’obiettivo di Pil per il 2023 dovrebbe rimanere attestato al +0,6%, in un quadro tendenziale che dunque dovrebbe essere ritoccato per stimare una crescita un po’ più alta quest’anno (la Nadef di fine settembre indicava un +3,3% ma i primi nove mesi hanno prodotto un acquisito al +3,9%) e più bassa il prossimo. Perché il terzo trimestre 2022 più vivace del previsto ha un effetto sensibile sui conti 2022, ma quasi irrilevante sui saldi degli anni successivi; su cui pesano invece i costi ulteriori dell’indicizzazione delle pensioni e dei tassi d’interesse, tali da compensare il miglioramento delle entrate stimato ancora per il 2023.

L’esigenza di combattere la gelata economica rimane quindi prioritaria. E motiva la conferma dell’aumento di deficit al 4,5%, necessario a contrastare i rischi di recessione in arrivo, per prospettare poi una discesa verso il 3,6-3,7% nel 2024 e il 3,2-3,3% nel 2025. Questo produce un disavanzo aggiutivo da oltre 21 miliardi rispetto al tendenziale 2023 licenziato dal governo Draghi, e uno scostamento di quasi 12 miliardi rispetto al vecchio programma che puntava al 3,9%. Su questi numeri il governo ha già costruito un’intesa con la commissione Ue, rientrata anche nei colloqui condotti dalla premier Meloni a Bruxelles. Anche perché nel contesto di frenata drastica dell’economia questa dimensione di deficit aggiuntivo viene inquadrata in un atteggiamento comunque prudente, che usa tutti i margini fiscali disponibili senza però ipotecare del tutto la discesa progressiva del debito/Pil. Il rapporto, quindi, dovrebbe essere limato anche nel 2023, seppure a ritmi meno intensi rispetto al -1,8% scritto nella Nadef di fine settembre. Lo scenario internazionale «è in peggioramento» ma l’«economia italiana non desta particolari preoccupazioni» e «nei 2-3 anni a venire è atteso un ulteriore calo del rapporto debito/Pil», ha confermato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco.

Il disavanzo aggiuntivo sarà utilizzato in modo quasi integrale per il nuovo giro di aiuti contro l’inflazione energetica, che saranno concentrati sui primi tre mesi. Saranno poi i dati sui prezzi di inizio 2023, diffusi dall’Istat tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, a misurare l’esigenza di nuovi interventi.

Questo scenario dominato ancora una volta dai costi dell’energia non cancella però l’intenzione del governo di procedere, anche se in misura leggera, sugli altri obiettivi cari al centrodestra. A partire dall’estensione della Flat tax degli autonomi e dalla tassa piatta sui redditi incrementali, oltre al cuscinetto previdenziale anti-Fornero che dovrebbe limitarsi alla sostanziale conferma della flessibilità in vigore quest’anno. Da finanziare anche con la revisione del reddito di cittadinanza che potrebbe portare coperture per circa un miliardo.

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