Tax rate da record sui dividendi ricevuti da società semplici e trust
I redditi di una società di capitali residente in Italia –se sono detenuti da una società semplice – giungono alla persona fisica che sia socia di quest’ultima decurtati da un prelievo fiscale complessivo che può arrivare al 60,3%, tra Ires, Irap (stimata al 3,9%), Irpef (stimata al 43%) e relative addizionali (stimate al 2%). Lo stesso accade al beneficiario di un trust non commerciale trasparente.
Si è più fortunati se la società semplice o il trust controllano una società localizzata in un Paese a fiscalità privilegiata. Infatti, grazie al regime delle società estere controllate di cui all’articolo 167 del Tuir o al credito d’imposta indiretto spettante nel caso in cui sia dimostrata l’esimente della commercialità (articolo 47, comma 4) il carico fiscale complessivo non può superare di norma la somma dell’Irpef progressiva e delle addizionali: in genere 45%, meno ancora di quello che grava sul dividendo distribuito direttamente alla persona fisica da una società italiana (46,6%).
La situazione ideale è quella delle fondazioni e dei trust opachi commerciali per i quali è dovuta solo l’Ires (a volte, per le fondazioni, dimezzata) sul 5% del dividendo, senza ulteriore tassazione, perché le erogazioni eventualmente fatte da queste entità non hanno natura di dividendo. Il carico fiscale non supera, quindi, il 28,8% per le fondazioni commerciali e per i trust commerciali opachi e il 29,5% per quelli trasparenti.
Da cosa derivano le differenze
Non è chiaro se questo quadro paradossale derivi da scelte consapevoli del legislatore (di cui comunque non si comprenderebbe la logica) o da qualche refuso normativo. È comunque certo che i soci di società semplici e i beneficiari di trust non commerciali trasparenti subiscono in pieno un fenomeno doppia imposizione economica che invece viene fortemente attenuato (in certi casi annullato) nei confronti degli altri contribuenti. Lo stesso reddito, infatti, viene integralmente tassato prima (come reddito d’impresa) in capo alla società di capitali che lo ha prodotto e poi (come utile) in capo al socio della società semplice o al beneficiario del trust trasparente.
All’origine del problema c’è la formulazione dell’articolo 27 del Dpr 600/1973, in base al quale la ritenuta d’imposta del 26% sui dividendi è applicabile solo nei confronti delle persone fisiche residenti in Italia, dei soggetti esenti da Ires e dei non residenti.
Le società di persone, di capitali e gli enti commerciali o non commerciali (compresi i trust) residenti non sono soggetti a ritenuta e quindi il dividendo concorre a formare il loro reddito complessivo (circolare 26/E del 2004, par. 3; risoluzione 85/E del 2005 ed errata corrige alla circolare 11/E del 2011, par. 7). Ci sono però differenze rilevanti. Per le società di capitali e gli enti commerciali gli utili concorrono – di norma – a formare l’imponibile nella misura del 5%, mentre i dividendi percepiti nell’esercizio d’impresa concorrono a formare il reddito nella misura del 58,14% ( o nelle minori misure del 49,72% o del 40% se gli utili sono stati prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016). Di contro, per le società semplici i dividendi formati con utili prodotti dalla società partecipata dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 concorrono a formare il reddito nella misura del 100% a causa della soppressione della prima parte dell’articolo 47, comma 1, del Tuir. Infine, per gli enti non commerciali, non vi è più alcun abbattimento d’imponibile per gli utili non conseguiti nell’esercizio d’impresa e prodotti dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016; per gli utili precedenti, si applica l’abbattimento del 22,26% (articolo 1, comma 3, del Dm 26 maggio 2017).
La situazione non migliora se le partecipazioni sono detenute nel regime del risparmio gestito. Dal «risultato di gestione» soggetto alla “rassicurante” imposta sostitutiva del 26%, si devono infatti sottrarre i proventi «che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente», fra i quali – per le società semplici e gli enti non commerciali – vi sono appunto, i dividendi (articolo 7, comma 4, Dlgs 461/1997 e fra le altre, la risoluzione 104/E del 2001).
Plusvalenze con prelievo light
Il regime dei dividendi percepiti da società semplici ed enti non commerciali sopra tratteggiato diverge significativamente da quello delle plusvalenze.
Per le società semplici e gli enti non commerciali, le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni, in quanto non conseguite nell’esercizio d’impresa, sono tassate come redditi diversi (articolo 67, comma 1, lettere c e c-bis del Tuir). In particolare, sono assoggettati all’imposta sostitutiva del 26% di cui all’articolo 5 del Dlgs 461/1997, prelevata dall’intermediario se il contribuente ha optato per il regime del risparmio amministrato o gestito (articoli 6 e 7 dello stesso decreto). Meglio vendere, quindi, che incassare dividendi.