Imposte

Impatriati, bonus per 10 anni anche se i figli nascono dopo il rientro in Italia

La durata dell’agevolazione raddoppia, ma la prole deve arrivare entro il primo quinquennio del regime speciale

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di Antonio Longo

Le agevolazioni fiscali per gli “impatriati” raddoppiano la durata (da cinque a dieci anni) per chi ha figli sia prima del trasferimento in Italia, sia successivamente: ma entro la scadenza del primo quinquennio di applicazione del regime speciale.
Il chiarimento, frutto di una condivisibile interpretazione delle norme, arriva dall’agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco, a commento delle recenti modifiche all’articolo 16 del Dlgs 147/2015, che riguarda il regime fiscale riservato ai lavoratori (anche italiani) che scelgono il nostro Paese dopo un periodo di permanenza all’estero.

Chi può fruire del bonus
Per questi soggetti “impatriati” il beneficio consiste in una cospicua detassazione dei redditi di lavoro prodotti in Italia, che concorrono alla formazione del reddito complessivo ai fini Irpef limitatamente al 30% del loro ammontare (con conseguente detassazione del restante 70%). La normativa in questione è stata oggetto di una sostanziale revisione da parte del Dl 34/2019 (decreto crescita), convertito con modificazioni dalla legge 58/2019.

Le agevolazioni, prima destinate solo ai lavoratori (dipendenti o autonomi) altamente specializzati o con ruoli direttivi, si estendono ora al mondo delle cosiddette professionalità minori, agli imprenditori individuali e agli sportivi (per questi ultimi, se professionisti, è previsto un regime ad hoc). Hanno diritto ai benefici i lavoratori che:
sono stati residenti all’estero nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento in Italia;
si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni;
svolgono l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.

La detassazione del reddito spetta per cinque anni a partire dall’anno in cui la residenza fiscale diventa italiana. La data di “ingresso” per fruire dell’incentivo è stata recentemente modificata in sede di conversione del decreto fiscale (Dl 124/2019), in vigore dal 25 dicembre scorso, da parte della legge 157/2019: i benefici – prima destinati solo a chi rientrava, ai fini fiscali, dal 2020 – ora si applicano anche ai soggetti che hanno trasferito la residenza in Italia (ex articolo 2 del Tuir) a decorrere dal 30 aprile 2019, acquisendo lo status di residenti fiscali italiani già nel 2019.

Le agevolazioni «allargate»
Con la nuova norma sono state introdotte agevolazioni più ampie, al ricorrere di specifiche condizioni:
1) per chi si trasferisce in un comune del Sud Italia i redditi di lavoro concorrono alla formazione del reddito complessivo nella sola misura del 10%;
2) le agevolazioni vengono estese per ulteriori cinque periodi di imposta (quindi per un totale di dieci anni), con detassazione al 50% in questo arco temporale aggiuntivo, ai lavoratori con almeno un figlio minorenne o a carico (anche in affido preadottivo) e ai lavoratori che diventino proprietari di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia successivamente al trasferimento o nei dodici mesi precedenti;
3) per i lavoratori che abbiano almeno tre figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo, negli ulteriori cinque periodi di imposta, i redditi concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 10% del loro ammontare.

Il chiarimento delle Entrate
All’Agenzia è stato chiesto di chiarire se il riferimento ai figli possa includere sia quelli nati/adottati prima del rientro in Italia, sia quelli successivi al trasferimento.
La risposta delle Entrate precisa che il presupposto richiesto dalla norma per l’estensione del beneficio temporale può sussistere sia prima del trasferimento in Italia, sia successivamente, a condizione che il figlio minorenne e/o a carico sia nato (ovvero concesso in affido o adottato) entro il primo quinquennio di fruizione dell’agevolazione. Ad esempio, se il lavoratore rientra in Italia nel periodo d’imposta 2020, il figlio (o i tre figli) deve/ono essere nato/i entro il periodo d’imposta 2024.

Il chiarimento non può che essere accolto con favore, in quanto si pone in sintonia con la finalità della riforma che, incentivando di fatto la natalità, ha inteso “premiare” i nuclei familiari dei lavoratori che scelgono di vivere stabilmente nel nostro Paese, andando oltre le logiche di mera convenienza fiscale.

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