Telefisco 2025, le risposte della Guardia di Finanza
Pubblichiamo qui di seguito le risposte rese dalla Guardia di finanza in occasione di Telefisco 2025 del 5 febbraio.
Mezzi fraudolenti
La tenuta di una contabilità parallela non ufficiale è sufficiente a integrare gli altri mezzi fraudolenti necessari per la configurazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (ex articolo 3, decreto legislativo 74/2000) dal momento che in concreto la condotta illecita posta in essere si sostanzia in una omessa fatturazione (ex comma 3 del citato articolo 3) e nel riepilogo di tali omissioni nella citata contabilità parallela?
L’articolo 3 del decreto legislativo n. 74/2000 punisce, con la reclusione da tre a otto anni, chiunque indichi in una delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’amministrazione finanziaria.
La configurazione del delitto è, inoltre, subordinata al superamento di due soglie di punibilità che fanno riferimento all’imposta evasa e agli elementi attivi sottratti all’imposizione anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi.
Trattasi, in sostanza, di un reato caratterizzato da una struttura “bifasica”, in quanto presuppone da un lato la compilazione e la presentazione di una dichiarazione mendace, dall’altro la realizzazione di un’attività ingannatoria prodromica, purché di quest’ultima, ove posta in essere da altri, il soggetto agente abbia consapevolezza al momento della presentazione della dichiarazione (Cass. pen., Sez. III, 15 febbraio 2019, n. 15500).
Come precisato al comma 3 della norma in commento, la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali non costituisce un mezzo fraudolento.
Pertanto, ai fini dell’integrazione della fattispecie in esame, occorre un quid pluris rispetto alla mera infedeltà dichiarativa, rappresentato dalla presenza di una condotta insidiosa, consistente nel compimento di operazioni simulate o nell’utilizzo di artifici idonei a costituire ostacolo all’accertamento (Cass. pen., Sez. III, 4 luglio 2024, n. 39971).
Come ribadito in molteplici occasioni dalla giurisprudenza di legittimità, la realizzazione mediante appositi artifici di una contabilità “parallela”, affiancata a quella ufficiale, finalizzata all’evasione delle imposte dirette e dell’Iva, può costituire, al ricorrere degli altri presupposti, una condotta idonea a integrare la fattispecie delittuosa di cui all’articolo 3 del Dlgs. n. 74/2000 (Cass. pen., Sez. III, sent. 10 aprile 2002, n. 13641; Cass. pen., Sez. III, sent. 19 settembre 2012, n. 35824; Cass. civ., Sez. V, Sent. del 24 novembre 2021, n. 36474).
Ciò può accadere, ad esempio, nell’ipotesi di creazione o di utilizzo di un apposito software gestionale finalizzato alla memorizzazione, in maniera occulta, su supporti informatici esterni, come pendrive o hard disk, dei ricavi o compensi non transitati dalla contabilità ufficiale, potendo una tale condotta configurare il quid pluris fraudolento previsto dalla fattispecie.
Dispersione della garanzia patrimoniale e sequestro preventivo
Sulla base di quali parametri/criteri le unità operative del Corpo rilevano (ex articolo 12 bis, decreto legislativo 74/2000) la sussistenza del concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo che consente il sequestro preventivo o il suo mantenimento nonostante la rateazione in corso da parte del reo?
Il decreto legislativo n. 87 del 2024 ha apportato significative modifiche alla disciplina dei reati tributari, intervenendo, tra l’altro, anche sui presupposti legittimanti l’adozione di misure cautelari reali.
Il riformulato comma 2 dell’articolo 12-bis del d.lgs. n. 74/2000, recependo un consolidato orientamento giurisprudenziale, esclude l’applicabilità del sequestro a fini di confisca, qualora il debito tributario sia in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, e il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti.
Tale preclusione non opera, tuttavia, nelle ipotesi in cui sussiste il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto anche conto della gravità del reato.
In ragione di quanto sopra, i Reparti del Corpo hanno dunque il compito di evidenziare alla competente Autorità giudiziaria, ove si ritenga di proporre l’adozione di sequestri preventivi per reati tributari:
- la rilevata assenza di procedure di estinzione del debito fiscale;
- in caso contrario, ogni circostanza acquisita nel corso delle indagini utile al fine di consentire la valutazione della particolare gravità del reato e, in particolare, l’esistenza di un concreto pregiudizio per la pretesa erariale.
A mero titolo di esempio, si fa riferimento all’emersione di elementi da cui desumere che il piano di rateizzazione sia stato avviato con lo scopo di evitare misure cautelari ma con la volontà di non portarlo a compimento, ovvero di condotte volte a dissipare i beni potenzialmente aggredibili.
Ravvedimento speciale e controlli
Se un contribuente all’atto dell’avvio di una verifica fiscale in materia anche di imposte sui redditi e Irap comunica e documenta di aver effettuato il ravvedimento del periodo di imposta oggetto di verifica ai sensi dell’articolo 2 quater del Dl 113/2024 convertito con modifiche nella legge 143/2024, quale è il comportamento conseguente dei verificatori anche in considerazione dell’economia e dell’efficacia dell’azione che deve ispirare l’attività di controllo?
L’articolo 2-quater del decreto legge n. 113/2024 ha introdotto la possibilità per i soggetti che hanno aderito, entro il 12 dicembre 2024, al concordato preventivo biennale (Cpb), di adottare un regime di ravvedimento per i periodi di imposta dal 2018 al 2022, versando un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, nonché dell’Irap.
In linea generale, è possibile affermare che tali soggetti rappresentino una platea di contribuenti caratterizzata da una più spiccata propensione alla trasparenza e alla compliance nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
Quanto sopra produce, dunque, significative ripercussioni sulla pianificazione e sullo sviluppo delle attività ispettive, anche in ragione del fatto che la normativa in argomento pone specifiche limitazioni alla possibilità di operare rettifiche ai fini delle imposte dirette e dell’Iva in relazione alle annualità oggetto del “ravvedimento speciale”.
Secondo le direttive di recente diramate, in sede di programmazione dell’attività operativa, i Reparti sono chiamati a valutare attentamente l’opportunità di avviare interventi ispettivi nei confronti di contribuenti che abbiano accettato la proposta di Cpb e optato per il Ravvedimento Cpb.
Qualora, invece, il soggetto comunichi e documenti di aver effettuato il citato ravvedimento con riguardo al periodo di imposta oggetto di controllo nel corso della verifica, i militari sono chiamati a verificare l’effettivo perfezionamento dell’istituto di compliance, riscontrando l’avvenuto versamento di quanto dovuto o il regolare pagamento rateale e le annualità interessate.
Pertanto, laddove emerga la regolarità della procedura, operano le preclusioni circa la possibilità di procedere alla rettifica delle dichiarazioni previste dalla normativa vigente.
Regole tecniche e opponibilità ai verificatori
Le regole tecniche antiriciclaggio emanate dalle autorità per i soggetti vigilati e dagli organismi di autoregolamentazione per i professionisti sono opponibili anche agli accertatori in sede di ispezione e verifica antiriciclaggio?
Le regole tecniche, adottate ai sensi dell’articolo 11, comma 2, del Dlgs. n. 231/2007, hanno la funzione di coadiuvare i soggetti obbligati nella corretta applicazione degli adempimenti antiriciclaggio attraverso l’analisi e la valutazione del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo afferente a determinate prestazioni professionali e rapporti continuativi, nel rispetto dell’approccio basato sul rischio.
In sede di ispezione e controllo antiriciclaggio, i verificatori tengono conto delle regole tecniche emanate sia dalle Autorità per i soggetti vigilati, sia dagli organismi di autoregolamentazione per i professionisti.
Tali regole, tuttavia, non sono opponibili, tout court, in sede di controllo, tenuto conto che la normativa vigente esclude la possibilità di individuare in via automatica e preventiva fattispecie rispetto alle quali possa operare una presunzione di assenza di rischio di riciclaggio.
La rilevazione del rischio, infatti, si pone a valle di un processo di valutazione più ampio che, seppur non necessariamente formalizzato, deve essere sempre svolto dal professionista per ciascun caso concreto.
Adeguata verifica e assorbimento
In tema di contestazione delle violazioni di mancata adeguata verifica e mancata conservazione non si può configurare il cd. assorbimento per cui andrebbe contestata solo la mancata adeguata verifica?
Non si ritiene possibile applicare la sanzione di cui all’articolo 57 del Dlgs. n. 231/2007 (inosservanza degli obblighi di conservazione di documenti, dati e informazioni) congiuntamente alla sanzione ex articolo 56 (inosservanza obblighi di adeguata verifica) qualora la violazione degli obblighi di cui agli artt. 31 e ss. dello stesso decreto, in tema di conservazione, abbia ad oggetto la stessa documentazione di cui si contesta l’adeguata verifica della clientela. In tale ipotesi, la violazione degli obblighi di conservazione, pur astrattamente sussistente, è “assorbita” dalla contestazione per omessa adeguata verifica. A titolo esemplificativo, nel caso in cui non venga acquisito un documento identificativo necessario all’adeguata verifica del cliente, al soggetto obbligato non potrà contestarsi anche la mancata conservazione di quel documento non acquisito.
Le due violazioni potranno, invece, coesistere quando gli elementi considerati ai fini della contestazione non coincidono.