Controlli e liti

Termini diversi per l’accertamento e lo stop ai rimborsi Iva: decideranno le Sezioni unite

L’ordinanza 20842 avvia l’iter per arrivare a una decisione collegiale che superi gli orientamenti difformi

di Matteo Balzanelli e Massimo Sirri

Con l’ordinanza 20842 del 30 settembre, i giudici di Cassazione considerano meritevole di un pronunciamento a Sezioni unite la questione del diverso termine concesso al Fisco per eseguire l’accertamento rispetto a quello di cui esso beneficerebbe per negare il rimborso Iva.

La vicenda oggetto d’esame concerne la restituzione di un credito Iva per il quale sono scaduti i termini d’accertamento ex articolo 57, Dpr 633/72.

La contribuente contesta la sentenza d’appello, la quale – confermando la pronuncia di primo grado – considera legittimo il rigetto dell’istanza di rimborso nel presupposto che il credito derivi da operazioni non inerenti l’esercizio d’impresa e che, pertanto, l’opposizione all’erogazione operi anche se siano scaduti i termini previsti per l’attività d’accertamento. La Cassazione svolge una puntuale ricostruzione degli orientamenti espressi nei propri precedenti in materia.

In particolare, viene data evidenza alla tesi “tradizionale”, in base alla quale il termine previsto dalla norma opererebbe qualora sia in contestazione la sussistenza del credito, ma non invece se, ritenuta esistente l’eccedenza, siano in discussione i requisiti per accedere al recupero del tributo.

Nel contempo, è dato atto della divergenza di tale orientamento rispetto alle indicazioni di cui alla sentenza a Sezioni unite 5069/2016, in materia di rimborso di imposte dirette. In tale pronuncia, in effetti, esprimendo un principio di portata generale, è affermato che i termini decadenziali varrebbero solo in relazione alle attività d’accertamento e non con riferimento alle attività con le quali l’amministrazione finanziaria contesta l’esistenza di un proprio debito (e, specularmente, del credito del contribuente).

In ogni caso, sono evidenti le disarmonie a livello di sistema, tanto ammettendo la validità generale del principio indicato dalla sentenza del 2016, quanto accettando che, decorsi i termini di legge, sia impedita qualsiasi forma di verifica dell’an e del quantum del credito preteso a rimborso.

Diverse sono le argomentazioni che militano in favore della posizione che giudica legittima la possibilità di disconoscere il credito. Tutte riconducibili al concetto per cui se è ammesso al contribuente eccepire in sede contenziosa, senza il rispetto di alcun termine, gli errori commessi a proprio sfavore al fine di evitare esborsi superiori al dovuto, non si vede perché analoga eccezione non possa essere mossa dall’amministrazione finanziaria in presenza di crediti inesistenti. Peraltro, analoghe conclusioni (favorevoli all’ammissibilità di un diverso trattamento) sono state già raggiunte con riguardo alla disciplina condonistica.

D’altra parte, a riprova dell’utilità di un intervento chiarificatore, militano argomenti altrettanto solidi. In primis, il fatto che, trattandosi d’imposta sul valore aggiunto, la potestà di disconoscere il credito trova un limite nel principio di neutralità dell’imposta. Inoltre, dal punto di vista pratico, è innegabile che la mancanza di un termine di decadenza finirebbe per togliere certezza al rapporto tributario, potendo oltretutto incidere su vicende economiche affatto trascurabili quali la circolazione dei crediti d’imposta, particolarmente intensa in relazione ai crediti Iva.

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