Torna alla Corte di giustizia Ue l’obbligo di ritenuta sugli affitti brevi
Il Consiglio di Stato: va chiarita la compatibilità della manovrina 2017 con le regole comunitarie
Torna davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea la querelle della “norma Airbnb”. Vale a dire l’obbligo per gli intermediari di applicare - tra l’altro - la ritenuta del 21% sugli affitti brevi, previsto dalla manovrina di primavera del 2017 (il decreto legge 50) e impugnato proprio dal portale internet Airbnb. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, con l’ordinanza 777/2021 del 26 gennaio.
Con questa pronuncia, di fatto, i giudici di Palazzo Spada rimandano ai colleghi europei il compito di stabilire in via pregiudiziale la compatibilità della normativa italiana sulle locazioni brevi con le regole comunitarie, dopo che un primo rinvio pregiudiziale era stato ritenuto «manifestamente irricevibile» dalla Corte del Lussemburgo il 30 giugno 2020. Tra le ragioni della bocciatura, una formulazione non sufficientemente precisa delle questioni sollevate. Questioni che vengono ora esposte in modo analitico nelle quasi 40 pagine dell’ordinanza 777 del Consiglio di Stato.
L’obbligo contestato
Il Dl 50/2017, all’articolo 4, prevede in particolare per gli intermediari (agenzie tradizionali e portali internet, nazionali e basati all’estero) un doppio obbligo: un onere di comunicazione dei dati dei contratti; inoltre, nel caso in cui l’intermediario intervenga nel pagamento del canone, una ritenuta del 21% da effettuare nel momento in cui le somme riscosse dagli inquilini vengono trasferite ai locatori.
Proprio l’applicazione della ritenuta è stato uno dei punti contestati fin dall’inizio da Airbnb e da diversi altri siti internet, che non l’hanno mai applicata, diversamente dalle agenzie immobiliari, che si sono per lo più adeguate. Il Fisco italiano non ha mai reso noto quanto abbia incassato dalla ritenuta sugli affitti brevi: l’unico dato disponibile nelle Statistiche fiscali riguarda la cedolare secca indicata in dichiarazione dei redditi da sublocatori e comodatari, che è pari a 21,4 milioni nel 2019; ma si tratta di una cifra poco indicativa perché interessa situazioni poco frequenti (solo 13.398 contribuenti) e conteggia tutta l’imposta dovuta, non solo le trattenute. I locatori, che sono l’ipotesi più comune, non sono indicati in modo dettagliato.
I punti demandati alla Corte Ue
Le questioni pregiudiziali che il Consiglio di Stato affida ai giudici europei sono tre.
La prima consiste nello stabilire se gli obblighi previsti dalla manovrina configurino una «regola tecnica» dei servizi della società dell’informazione e una «regola relativa ai servizi» della società dell'informazione, secondo la direttiva 2015/1535/Ue. Se così fosse, sarebbe servita una comunicazione preventiva alla Commissione Ue. Il parere del Consiglio di Stato, conforme a quello reso dal Tar in primo grado (sentenza 2207/2019), è che le regole del Dl 50/2017 non costituiscano una «regola tecnica».
La seconda questione riguarda la compatibilità delle regole italiane con il principio di libera prestazione di servizi previsto dall’articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), anche alla luce della «inefficacia» del «prelievo fiscale relativo alle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio», come scrive il Consiglio di Stato. In pratica, si chiede ai giudici europei se la difficoltà di recupero del gettito possa giustificare una eventuale compressione della libera prestazione dei servizi. Peraltro, va ricordato che - se è vero che spesso sono denunciate criticità nel settore degli affitti brevi - secondo lo stesso ministero dell’Economia l’introduzione della cedolare secca è coincisa con una riduzione del tax gap (evasione fiscale) nel campo delle locazioni, come si rileva anche nell’ultima Relazione sull’economia non osservata.
La terza e ultima questione rivolta alla Corte di giustizia Ue riguarda invece un aspetto applicativo dell’articolo 267, par. 3, del Tfue: in particolare, ci si chiede se il giudice abbia comunque la facoltà di articolare in modo autonomo il quesito o se debba recepire il quesito come formulato dalla parte che ha sollevato l’istanza.