Imposte

Imposte dirette, il minor ricavo non sconta la tassazione

Il versante contabile della riduzione dell’incasso per la fornitura di beni o servizi già fatturati

La riduzione dell’incasso per la fornitura di beni e servizi già fatturati, correlata alle difficoltà finanziarie del debitore, genera un componente negativo di reddito che deve essere adeguatamente gestito dal punto di vista contabile e delle imposte dirette, sia per il cliente che per il fornitore.

Per realizzare tale riduzione, i contraenti (fornitore e cliente) possono scegliere tra tre strumenti:

lo sconto, in genere incondizionato, e magari determinato in misura forfettaria;

la transazione in base all’articolo 1965 del Codice civile (che peraltro risulta di difficile pratica, per la specifica fattispecie di un servizio già ultimato o di un bene già consegnato, entrambi fatturati, poiché potrebbe non esistere una lite da comporre o da prevenire);

la riduzione unilaterale del credito (rinuncia o remissione del debito) da parte del fornitore.

Dal punto di vista contabile (lato fornitore), lo sconto incondizionato di natura commerciale (e non finanziaria) viene contabilizzato in riduzione dei ricavi dell’esercizio nella voce A1 del conto economico (articolo 2425-bis del Codice civile e Oic 12, paragrafo 49). Secondo l’Oic gli sconti di natura commerciale sono concordati “generalmente” al momento della vendita del bene o della prestazione del servizio, non escludendosi quindi la possibilità di concordare lo sconto in un momento successivo (ai fini Iva si direbbe per «sopravvenuto accordo tra le parti»).

Ai fini delle imposte sui redditi (Irpef/Ires e Irap), la riduzione dell’importo da pagare quale sconto modifica la base imponibile dell’esercizio, comportando minori ricavi per il fornitore e maggiori costi per il committente.

Diverso invece il caso della transazione, trattata nella circolare 26 del 1° agosto 2013, paragrafo 3.2., ove l’Agenzia ha ribadito che se la transazione trae origine da una lite sulla fornitura, il relativo onere non costituisce una perdita su crediti, ma una sopravvenienza passiva. In tale fattispecie, infatti, si configura una rideterminazione del corrispettivo originariamente pattuito, il cui minor valore non origina da un’inadempienza del debitore, ma da una modifica bilaterale del rapporto commerciale. Da un punto di vista sia contabile che fiscale, quindi, il minor valore del credito darà luogo:

-a una mera rettifica del ricavo per il cedente e del costo per l’acquirente, se la transazione viene definita entro lo stesso esercizio in cui è stata registrata l’operazione;

-a una sopravvenienza, passiva per il cedente ed attiva per l’acquirente, nell’anno in cui la transazione si perfeziona, se è successivo a quello dell’operazione (voce B14 del conto economico).

In entrambe le ipotesi, le componenti di reddito che ne derivano rilevano anche ai fini Irap.

In tema, la Corte di cassazione, con l’ordinanza 9317 del 2 aprile 2014, ha affermato che nell’ipotesi di accordo transattivo, gli importi da esso derivanti devono essere imputati al periodo di competenza, che è quello di sottoscrizione dell’accordo, non essendo a tal fine rilevanti i relativi flussi finanziari.

In caso di rinuncia al credito o remissione del debito, la circolare 26/2013 considera che, sebbene la rinuncia estingua giuridicamente il credito in capo al creditore, la perdita rilevata matura in un contesto di unilateralità, e può pertanto rappresentare un atto di liberalità indeducibile ai fini fiscali. Tale indeducibilità può essere superata se la perdita risulta inerente all’attività d’impresa, che si ritiene verificata, in linea di principio, se sono dimostrate le ragioni di inconsistenza patrimoniale del debitore o di inopportunità della azioni esecutive ( Corte di cassazione, sentenza 11329 del 29 agosto 2001).

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