Tributi locali, Tia2 soggetta a Iva: riconosciuta la natura privatistica
Due sentenze gemelle a Sezioni unite chiudono la questione del prelievo. Possibili riflessi anche per la Tia1
Il finanziamento del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani è stato finanziato con una tassa sin dal testo unico per la finanza locale del 1931. Il tributo si chiamava Tarsu ed è stato applicato in numerosi comuni d’Italia senza soluzione di continuità sino all’attuale Tari.
Lo schema fiscale
Con l’affidamento del servizio a società commerciali, che restano tali anche se partecipate dagli enti locali, lo schema fiscale era ed è tuttora il seguente, in base al quale il comune:
stipula il contratto con la società che gestisce il servizio, pagando un corrispettivo più l’Iva relativa (attuale aliquota 10%);
fissa l’entità della tassa, differenziandola in base alla stima di produzione dei rifiuti. Questo introito, di natura tributaria, non è soggetto a Iva, e non consente la detrazione del tributo (articolo 19, comma 2, primo periodo, della legge Iva). Pertanto la tassa è comprensiva dell’imposta, indetraibile per il comune.
La tariffa di igiene ambientale
In questo ciclo, che potremmo definire storico e indiscutibile, altri comuni avevano sostituito la Tarsu con la «Tariffa di Igiene Ambientale», cosiddetta Tia1, che in base alla norma istitutiva, la cosiddetta legge Ronchi (articolo 49 del decreto legislativo 22/1997), era applicata dai soggetti gestori, che fatturavano direttamente agli utenti, anziché ai comuni, con l’ovvia applicazione dell’Iva.
Successivamente questa modalità di finanziamento del servizio viene sostituita dalla cosiddetta Tia2 (articolo 238 del Dlgs 152/2006), sino all’introduzione della Tari. Anche per questo corrispettivo la società di gestione del servizio fatturava con Iva agli utenti.
Le Sezioni Unite
Dopo la sentenza della Cassazione a sezioni unite n. 5078 del 15 marzo 2016, che aveva riconosciuto la natura tributaria della Tia1, condannando il gestore al rimborso del tributo all’utente, ieri le sezioni unite si sono pronunciate con due sentenze gemelle (n. 8631 e 8632) per la Tia2, fissando la massima, secondo cui questo corrispettivo «ha natura privatistica, ed è pertanto soggetto ad Iva ai sensi degli articoli 1, 3, 4,commi 2 e 3 del Dpr n. 633del 1972».
Le norme citate riguardano il presupposto generale dell’Iva, la nozione di prestazione di servizi dietro corrispettivo (requisito oggettivo) e l’applicazione del tributo per tutti gli esercenti attività di impresa costituiti in forma societaria (requisito soggettivo).
Queste sentenze avevano ad oggetto importi non rilevanti (rispettivamente di 82,87 e 100,84 euro; la sentenza sulla Tia1 era addirittura di soli 67 euro) da cui si evidenzia il costo spropositato delle spese legali, che l’ente gestore arrivato in Cassazione ha dovuto sostenere per evitare una proliferazione di istanze di restituzione, cui non avrebbe fatto seguito il rimborso da parte dell’agenzia delle Entrate.
Le prospettive
Chiuso definitivamente il capitolo Tia2, sarebbe opportuna una norma per chiudere anche le azioni legali relative alla Tia1. Al di là della distinzione tra tassa e tariffa, la restituzione dell’Iva agli utenti evidenzia due motivi di illiceità sostanziale: chi non ha detratto il tributo ha pagato, in ipotesi 100 più 10 = 110, ma avrebbe ugualmente pagato questo importo nell’ambito della tassa (precedente e attuale); chi ha detratto l’Iva, e non è stato quindi inciso dal tributo (che si sarebbe incorporato nella tassa) consegue un doppio indebito arricchimento se il giudice ordina la restituzione anche a questo soggetto.
Tornando alle due sentenze di ieri, si può agevolmente ravvisare la legittimazione dell’applicazione dell’Iva anche per la Tarip (articolo 1, comma 668, della legge 147/2013), cioè per la tariffa “puntuale”, che tiene conto di quanto viene conferito in discarica.
Giuseppe Debenedetto
Sistema Frizzera