Una possibile alternativa alla cessione d'azienda: la «cessione indiretta»
La possibilità di utilizzare operazioni straordinarie per sistemare situazioni aziendali legate alla governance e ai rapporti con i soci è sempre stata oggetto di interesse per gli operatori aziendali.
Una delle questioni più dibattute è rappresentata dalla cessione di partecipazioni (quote o azioni). In tale ambito, per minimizzare l’impatto fiscale, ci si è interrogati sull’opportunità e sugli eventuali rischi connessi al coordinato utilizzo del conferimento e della cessione.
Si è molto discusso sulla possibilità di una sorta di cessione indiretta d’azienda con un’operazione di questo tipo:
a) conferimento d’azienda in neutralità fiscale (ai sensi dell’articolo 176 del Tuir);
b) successiva cessione della partecipazione in regime di esenzione se questa ha i requisiti richiesti dall’articolo 87 del Tuir (participation exemption).
Tale doppia operazione (conferimento e cessione di partecipazione in esenzione) permette di rinviare la tassazione delle plusvalenze ed evita quindi, come invece avviene per la cessione diretta d’azienda, l’immediata tassazione ordinaria.
Tale cessione indiretta non può nemmeno essere considerata «operazione elusiva» in quanto nell’articolo 176, comma 3, del Tuir viene esplicitamente previsto che la succitata operazione «non rileva ai fini dell’articolo 37-bis» del Dpr 600/1973.
Orbene, l’operazione di cessione indiretta è molto vantaggiosa per il cedente, mentre non lo è per l’acquirente poiché quest’ultimo non può dedurre il prezzo pagato, a differenza della cessione d’azienda, con la quale nella contabilità dell’acquirente vengono evidenziati i valori negoziati dei beni e l’eventuale avviamento con la possibilità di «far ripartire» il processo d’ammortamento (oltre ad avere il riconoscimento fiscale dei maggiori valori).
La cessione indiretta, sull’acquirente, non è appetibile nemmeno se successivamente si provvede a operare una fusione tra società cessionaria e quella acquisita, poiché il disavanzo di fusione non è riconosciuto fiscalmente.
È ben vero che il prezzo pagato per acquisire la partecipazione è riconosciuto fiscalmente, ma ciò è di scarsa utilità, anche nell’ipotesi di successiva cessione della partecipazione, in quanto l’eventuale plusvalenza sarebbe esente (o parzialmente esente a seguito delle modifiche alle disposizioni sulla participation exemption).
In definitiva il contribuente potrà decidere (e negoziare) se:
• scegliere la via dell’esenzione, optando per il conferimento dell’azienda in regime di neutralità e cedendo successivamente la partecipazione in regime di participation exemption non dando all’acquirente la possibilità di utilizzare come valori fiscalmente riconosciuti quelli oggetto di negoziazione;
• scegliere il regime di imponibilità vendendo l’azienda, subendo la tassazione della plusvalenza e dando all’acquirente la possibilità di poter utilizzare dei valori fiscalmente riconosciuti.
Occorrerà inoltre valutare le seguenti possibilità/rischi connessi alla cessione indiretta in quanto:
- il soggetto conferitario potrà ottenere il riconoscimento dei maggiori valori rispetto ai valori presenti nella contabilità della conferente mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva;
- ai fini dell’imposta di registro l’operazione di cessione indiretta di azienda o ramo aziendale potrebbe essere considerata un’unica operazione da ritenersi cessione d’azienda in applicazione dell’articolo 20 del Dpr 131/1986.
Indubbiamente, l’aspetto di maggiore criticità riguarda le imposte indirette in quanto la non elusività della «cessione indiretta» sancita dall’articolo 176, comma 3, citato è riferita alle solo imposte dirette.
Orbene, gli eventuali accertamenti da parte dell’amministrazione finanziaria per contestare, ai fini dell’imposta di registro, le succitate operazioni si fonderebbero, oltre che sul già richiamato articolo 20 del Dpr 131/1986, anche sull’articolo 53 bis, dello stesso Dpr e sulla cosiddetta «clausola generale anti-abuso del diritto» che deriverebbe dall’articolo 53 della Costituzione.
In tal senso è emblematica la sentenza della Ctp di Milano (sez. 7a – sentenza 26/10 pronunciata il 13 gennaio 2010, depositata il 10 febbraio 2010) che riconosce la validità dell’accertamento effettuato dall’agenzia delle Entrate volto ad applicare l’imposta di registro in misura non fissa, ma proporzionale, su un’operazione, prima di conferimento in una società dell’intero patrimonio immobiliare di un Fondo pensione e, successivamente, la cessione delle quote della società conferitaria, ritenendo elusiva, ai fini dell’imposta di registro, l’operazione stessa.
Una successiva decisione della Ctp di Treviso (sentenza 76/07/10 del 30 giugno 2010) ritiene invece illegittimo il comportamento dell’Ufficio finanziario che ha riqualificato in atto di cessione immobiliare l’atto di conferimento di ramo d’azienda, comprensivo di immobile, interpretando in funzione antielusiva l’articolo 20 del Dpr 131/1986.
La sentenza della succitata Ct correttamente interviene per evitare un eccessivo (e improprio) utilizzo del principio dell’abuso del diritto da parte dell’amministrazione finanziaria interpretando in maniera estensiva l’art. 20. Nel caso specifico, poi, la sentenza richiama anche il fatto che le pretese dell’agenzia delle Entrate sono infondate anche nel merito in quanto l’operazione «configura effettivamente un conferimento di ramo d’azienda».
La successiva decisione della Cassazione (ordinanza 6835/2013 del 19 marzo 2013) ritiene invece valida la pretesa dell’amministrazione finanziaria di tassare in misura proporzionale al 3% l’operazione prima di conferimento del ramo aziendale e poi di cessione della partecipazione in quanto occorre, per la Suprema Corte, privilegiare «l’intrinseca natura e gli effetti giuridici» degli atti registrati rispetto alla loro forma apparente, con la conseguenza che «nell’individuazione della materia imponibile dovrà darsi preminenza assoluta alla causa reale sull’assetto cartolare».
Certamente si aprirà la strada a possibili arbitraggi fra le parti, calibrando vantaggi fiscali e prezzo di cessione.
In definitiva la Cassazione con più pronunce del 2013 e 2014 attribuisce all’articolo 20 il ruolo di norma antielusiva e considera, ai fini della tassazione, l’operazione in oggetto, un fenomeno unitario; tale interpretazione appare criticabile e suscita perplessità.
Secondo la Ctr della Lombardia (sentenza 4162/36/2016) non è abuso del diritto e quindi l’operazione di conferimento di ramo d’azienda non è elusiva, e non può essere ricondotta a una cessione d’azienda, anche quando è seguita, dopo pochi giorni, dalla vendita delle quote.
Lo stesso schema di «cessione indiretta» si può applicare anche alla sequenza costituita da scissione societaria con successiva cessione delle partecipazioni della società beneficiaria (o della scissa).
La risoluzione 97/E del 25 luglio 2017 dovrebbe applicarsi anche «nell’ipotesi di scissione societaria che abbia per oggetto singoli beni (partecipazioni societarie, immobili, marchi) a cui segue il successivo trasferimento delle partecipazioni della società destinataria di tali singoli beni, come anche scritto da Dario Deotto e Stefano Zanardi in Cessione indiretta di singoli beni: la scissione dribbla l’abuso, Il Sole 24 Ore del 10 settembre 2018.
Per approfondire: Trasformazione, fusione, conferimento, scissione e liquidazione delle società 2019, in libreria e on line