Voucher aziendali, il welfare non è tassato se riguarda tutti
Per non essere imponibili, i buoni devono essere offerti alla generalità o a categorie omogenee di dipendenti
Aumentare le vendite è l’obiettivo di ogni direttore commerciale, specie di questi tempi. Sfida non facile che però può essere affrontata anche con l’introduzione (o la revisione) dei buoni acquisto, considerata la loro crescente popolarità.
I buoni (o voucher) sono lo strumento più semplice e immediato per erogare beni e servizi ai dipendenti e allo stesso tempo fruire della totale detassazione, senza soglie o fino a 516,46 euro (articolo 112 del Dl 104/2020). Possono essere comprati anche dai privati, sotto forma delle flessibili “gift card”.
Welfare aziendale
L’erogazione dei beni e servizi (commi 2 e 3, articolo 51 del Tuir) da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico.
Tra le erogazioni esenti da tassazione rientrano i servizi e le opere di utilità sociale, ossia con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto (lettera f, comma 2, articolo 51), i servizi di educazione e istruzione, comprese le borse di studio e la frequenza ai centri estivi (lettera f-bis), i servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti (lettera f-ter) e i contributi e premi per rischio di non autosufficienza e gravi patologie (lettera f-quater).
Per non essere imponibili, i buoni devono essere offerti alla generalità o a categorie di dipendenti e – nel caso delle lettere f) e f-bis) – possono esserne beneficiari anche i familiari del lavoratore (anche se non a carico fiscalmente, ex articolo 12 del Tuir).
Se fruiti mediante il rilascio di titoli di legittimazione, devono essere nominativi, dare diritto a un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale indicato sul voucher, non essendo peraltro possibile alcuna integrazione in denaro (articolo 6 del Dm 25 marzo 2016). Inoltre devono essere utilizzati esclusivamente dal titolare indicato nel buono e presso la struttura convenzionata: non possono quindi essere ceduti a terzi, né monetizzati.
Nel caso di somministrazioni continuative o ripetute nel tempo, dev’essere indicato il loro valore complessivo: come, ad esempio, nel caso di un carnet di dieci entrate in piscina.
Fringe benefit
L’erogazione di compensi in natura di cui al comma 3, articolo 51 del Tuir, ossia beni e servizi offerti al dipendente (quali il cesto natalizio, i generi in natura prodotti dall’azienda, eccetera) può anche avvenire tramite voucher: si pensi ai buoni spesa utilizzabili al supermercato, i buoni carburante e i buoni shopping fruibili presso negozi di abbigliamento, elettronica, e via dicendo.
Questi benefit concorrono alla formazione del reddito secondo il valore normale (articoli 51, comma 3, e 9 del Tuir), che può essere costituito anche dal prezzo scontato, praticato dal fornitore sulla base delle convenzioni stipulate dal datore di lavoro.
In ogni caso, il valore di tali beni e servizi non concorre a formare materia imponibile se complessivamente non supera i 258,23 euro nel periodo d’imposta, elevati a 516,46 euro per il solo 2020 (articolo 112 del Dl 104/2020). Se il valore è invece superiore a tali importi, concorre per intero a formare il reddito.
In deroga al comma 1, articolo 6, del Dm 25 marzo 2016, tali beni e servizi possono essere cumulativamente indicati in un unico voucher, purché il loro valore complessivo non ecceda il limite di 258,23 euro. Non è chiaro, tuttavia, se il raddoppio dei limiti abbia efficacia anche sull’importo del voucher.
Il trattamento Iva
Ai fini Iva, i buoni che contengono l’obbligo di essere accettati come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte della cessione di beni o prestazione di servizi sono definiti buoni-corrispettivo e riportano i beni e servizi cui si riferiscono, oppure le identità dei potenziali cedenti o prestatori (articolo 6-bis del Dpr 633/1972).
Non rientrano nella disciplina i buoni sconto, i titoli di trasporto, i biglietti d’ingresso a cinema e musei, i francobolli e gli altri titoli simili.
Un buono-corrispettivo si considera monouso se al momento dell’emissione è nota la disciplina Iva applicabile all’operazione cui il buono dà diritto; altrimenti, si tratta di buono multiuso. Nel primo caso, l’Iva è esigibile all’atto di ogni trasferimento; nel secondo, invece, con l’effettuazione dell’operazione cui il buono dà diritto.
Nella categoria dei buoni monouso sono inclusi anche i voucher di welfare aziendale consegnati ai dipendenti, vista l’esatta individuazione dei beni o servizi cui il beneficiario ha diritto e la copertura totale del corrispettivo.
IN SINTESI
1. Buoni, welfare e benefit
Abbonamenti a teatri, palestre, lezioni di nuoto, cicli di terapie, corsi di informatica, inglese o musica, sono alcune utilità dei piani welfare. Non concorrono al reddito se erogate a tutti o a categorie omogenee di dipendenti.
I voucher che li rappresentano devono essere nominativi, dare diritto a un solo bene o servizio per l’intero valore nominale, senza possibilità di integrazioni in denaro. Non sono cedibili, né monetizzabili.
È invece consentito indicare i beni e servizi di cui al comma 3, articolo 51, del Tuir in un unico voucher (ad esempio, un buono spesa da usare al supermercato può includere più alimenti diversi), purché il loro valore complessivo non ecceda 258,23 euro (che è anche la soglia di non imponibilità del benefit; per il 2020 elevata a 516,46 euro)
2. Cofanetti regalo e gift card
I cofanetti regalo (con soggiorni in albergo e altri servizi turistici, di ristorazione, svago e intrattenimento) rientrano tra i buoni monouso se all’emissione sono noti il luogo dell’operazione e la natura, qualità, quantità, nonché l’Iva applicabile, anche con aliquote diverse.
Per i buoni monouso l’Iva è esigibile all’emissione, e la successiva consegna dei beni o prestazione di servizi non è rilevante. Al contrario, per i buoni multiuso l’imposta sarà esigibile solo quando i beni o i servizi sono ceduti o prestati.
Luca De Stefani
Dottrina