Controlli e liti

Illegittimo l’accertamento con gli studi di settore se il contribuente dimostra la crisi

di Sara Mecca


È illegittimo l'accertamento fondato sugli studi di settore se il contribuente dimostra di operare in una zona economicamente depressa ed in un settore in grave crisi. È questo il principio affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 25084 depositata il 26 novembre 2014.

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento con cui l'agenzia delle Entrate, sulla base degli studi di settore, rideterminava induttivamente i ricavi del contribuente ed il reddito d'impresa. Contro l'atto impositivo, il contribuente proponeva ricorso innanzi la competente Commissione tributaria provinciale, che accoglieva il ricorso. La decisione veniva confermata anche dalla Ctr, adita dall'ufficio.

In particolare, i giudici del gravame ritenevano che l'atto impositivo era basato sulla sola applicazione degli studi di settore e che l'ufficio non aveva fornito ulteriori elementi che potessero giustificare la rideterminazione del reddito. Inoltre, non era stata tenuta in considerazione la diversa (e negativa) realtà economica, pur rappresentata dal contribuente.

Contro la sentenza della Ctr, il fisco proponeva ricorso in Cassazione, ribadendo la legittimità dell'accertamento e sostenendo che i giudici dell'appello non avevano dato conto del modo in cui l'area “economicamente depressa” in cui l'imprenditore operava si riflettesse sulla sua attività.

La Corte di cassazione ora ha respinto il ricorso dell'Agenzia, condannandola al pagamento delle spese di lite.

I Supremi giudici ribadiscono anzitutto un principio ormai pacifico (contenuto, da ultimo, nella sentenza della Cassazione n. 24576/2014) secondo il quale l'accertamento standardizzato mediante applicazione dei parametri costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è determinata meramente da uno scostamento tra il reddito dichiarato dal contribuente e quello risultante dall'applicazione degli standards, ma nasce soltanto all'esito del contraddittorio, che l'Ufficio ha l'obbligo di attivare.

Dal suo canto il contribuente deve, proprio in sede di contraddittorio, provare la sussistenza di elementi e condizioni che giustifichino l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli standars, ovvero la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo oggetto dell'accertamento.

Nel caso di specie, il contraddittorio aveva dato esito positivo: infatti l'imprenditore aveva fornito specifiche prove della inapplicabilità dei parametri, in virtù del fatto che l'azienda operava in una zona economicamente depressa e soprattutto in un settore (quello edile) in recessione. Elementi, questi, idonei a superare le presunzioni semplici apportate dagli studi di settore.

Da qui il rigetto del ricorso del fisco e la conferma della illegittimità dell'accertamento.
La sentenza è rilevante poiché oggi è molto frequente, in virtù del periodo di grave crisi economica e finanziaria che sta attraversando il nostro Paese, che un'impresa si discosti dai risultati degli studi di settore. Ebbene, secondo la Cassazione, se si da prova concreta degli effetti della crisi, l'accertamento basato solo sugli standards non è legittimo.

La sentenza della Cassazione

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