Professione

VERSO LA MANOVRA/1 - Compensazioni, grido d’allarme da imprese e commercialisti

di Marco Mobili e Giovanni Parente

«Così non va». La doppia stretta su compensazioni e crediti fiscali che si prospetta nel decreto collegato alla manovra scatena subito il malcontento nel mondo delle imprese e dei professionisti. Neanche il tempo di chiudere la vicenda degli Isa su cui i commercialisti hanno protestato e manifestato il loro disagio, che subito si apre un nuovo fronte. Il decreto fiscale interviene pesantemente (come anticipato ieri su queste colonne) nel tentativo di recuperare risorse alla voce «lotta all’evasione». Da un lato, con i rimborsi da 730 (precompilata inclusa) che sarebbero automaticamente decurtati o azzerati dal Fisco in presenza di debiti iscritti a ruolo non ancora pagati. Dall’altro, ritardando l’utilizzo dei crediti Irpef, Ires e Irap e imponendo un meccanismo già sperimentato per l’Iva: quando l’importo che il contribuente vuole portare in compensazione supera i 5mila euro deve prima trasmettere la dichiarazione e attendere 10 giorni dopo l’invio telematico.

Una prospettiva che proprio non piace, considerati anche i problemi di liquidità in cui versano soprattutto le microimprese come testimoniato anche dall’indagine del Censis e del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti (Cndcec) presentata martedì scorso. Proprio i commercialisti definiscono il posticipo delle compensazioni un «prestito forzoso». Ad avviso del presidente del Cndcec, Massimo Miani, «l’ipotesi di differimento della compensabilità dei crediti Irpef, Ires e Irap fino a dopo la presentazione delle relative dichiarazioni per la parte eccedente i 5mila euro, come già avviene per i crediti Iva, rischia di trasformarsi in un prestito forzoso a carico del settore privato dell’economia».

Non mancano riserve sull’altro intervento che le prime bozze di decreto chiamano «efficientamento della riscossione» e che vanno a toccare i rimborsi del 730 precompilato e ordinario. «Comprendiamo le ragioni di tutela erariale che portano all’idea di verificare l’esistenza di debiti tributari del contribuente – afferma ancora il numero uno dei commercialisti - e, in caso di loro esistenza, di sottrazione di questi dal credito Irpef che il datore di lavoro potrà effettivamente rimborsare al contribuente. La questione delicata sta però nell’identificazione dei debiti che potranno essere sottratti: ci auguriamo non certo quelli in contestazione o quelli prescritti ma non ancora sgravati. Dovranno essere quindi crediti erariali per così dire certi, liquidi ed esigibili».

Durissima la presa di posizione che arriva da Rete imprese Italia. Per artigiani, commercianti ed esercenti è addirittura «inaccettabile» la stretta sulle compensazioni che sta prendendo forma perché «rappresenta un ulteriore duro colpo alle finanze dalle tante imprese corrette con il fisco». In una nota congiunta inviata al Sole 24 Ore si sottolinea come, ancora una volta «anziché colpire in modo selettivo i disonesti, cosa possibile con l’uso delle moderne tecnologie», si preferisca, invece, «colpire indiscriminatamente le imprese e penalizzare i contribuenti corretti: è un film già visto che produrrà nuovi tentativi di aggiramento delle norme».

Il posticipo costerebbe secondo Rete imprese Italia «almeno 6 mesi» di attesa per l’utilizzo dei crediti. Il canale delle dichiarazioni, infatti, si apre formalmente dal 2 maggio ma poi nei fatti inizia a decollare da giugno. Se poi, però, imprese e professionisti fossero chiamati a rivivere l’esperienza di quest’anno con gli Isa, l’invio della dichiarazione dei redditi slitterebbe almeno in autunno. Tanto più che ormai a regime il termine di trasmissione del modello Redditi è stato portato al 30 novembre. Quindi, di fatto, il credito Irpef, Ires o Irap si potrebbe usare in compensazione solo dal 10 dicembre in avanti. E quindi, come sottolineano da Rete imprese Italia, sarebbe «impossibile utilizzare i crediti relativi ad imposte sui redditi per effettuare il versamento del saldo Iva dovuto in base alla dichiarazione Iva relativa al medesimo anno d’imposta». Per questo la richiesta che arriva dalle associazioni di categoria è di «non introdurre nuovi obblighi che puniscano in modo indiscriminato l’impresa diffusa vero patrimonio del Paese che lavora».

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