Contabilità

Con l’usufrutto non scatta la co-vendita

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di Angelo Busani

La clausola di co-vendita contenuta nello statuto di una Spa non si applica se viene ceduta non la piena proprietà delle azioni, ma solo la nuda proprietà. Lo decide la Cassazione nella sentenza n. 3951 del 19 febbraio 2018, priva di precedenti. La clausola di co-vendita – definita anche clausola di tag along – è quella in base alla quale se il socio di maggioranza intende vendere le proprie azioni deve pretendere dal potenziale acquirente che acquisti pure le azioni dei soci di minoranza nel caso vogliano venderle.

La clausola tutela i soci di minoranza perchè, da un lato, può non essere indifferente per essi trovarsi “in compagnia” di un diverso socio di maggioranza; e, d’altro lato, perché la vendita che sia programmata dal socio di maggioranza può essere, per il socio di minoranza, un’occasione irripetibile non solo per uscire dalla società, ma anche per lucrare un corrispettivo proporzionalmente maggiore di quello che percepirebbe con una trattativa di vendita stand alone: la vendita “congiunta” permette infatti al socio di minoranza di approfittare del plusvalore che, nella valutazione di una partecipazione, è insito nella cessione è una quota di controllo della società in questione.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la clausola di tag along disponeva (come normalmente accade) la sua generica operatività in ipotesi di cessione delle azioni componenti il capitale sociale, senza disporre nulla sul tema del trasferimento della sola nuda proprietà. Poiché, invece, era passata di mano proprio la nuda proprietà del pacchetto di maggioranza (con riserva di usufrutto in capo al socio cedente) è sorta la questione se il diritto di co-vendita dei soci di minoranza si sia attivato o meno. Questi ultimi hanno argomentato che il diritto di co-vendita dovrebbe essere garantito in tutti i casi in cui il controllo assembleare si renda possibile anche solo in futuro e, quindi, anche quando si abbia una situazione in cui il cessionario delle azioni non disponga della maggioranza attuale dei voti nell’assemblea ordinaria ma solamente di quella potenziale (perchè proprietario di azioni gravate da usufrutto, diritto per sua natura temporaneo).

Per la Cassazione, invece, nel caso di alienazione del diritto di nuda proprietà di azioni di maggioranza non sorge il diritto di co-vendita in capo agli altri soci, poiché tale diritto è configurabile solo quando l’acquirente assuma il controllo della società per avere acquistato la maggioranza dei diritti di voto incorporati nelle azioni: in effetti, il diritto di voto per le azioni gravate da usufrutto compete unicamente all’usufruttuario che esercita un diritto suo proprio e perciò non è obbligato ad attenersi alle eventuali istruzioni di voto che gli impartisca il nudo proprietario.

Anche perché, secondo la Cassazione, vige nel sistema un principio di libera trasferibilità delle azioni che impone un’interpretazione restrittiva delle clausole limitative, come quella oggetto del giudizio in questione strutturata in modo da riconosce agli altri soci un diritto di vendita congiunta, restringendo così la libera circolazione di quei titoli.

Cassazione, sentenza n. 3951 del 19 febbraio 2018

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