Diritto

Enti del terzo settore tutelati anche con la 231

L’articolo 30 del Codice e la Cassazione confermano la possibilità di utilizzo. Non rilevanti il possesso della personalità giuridica e lo scopo lucrativo

Anche per le realtà non profit che decidono di accedere al Registro unico (Runts) scatta la possibilità di adottare il modello organizzativo 231.

Un tema questo molto dibattuto sin dal 2017 ma che sembrerebbe dover trovare una risposta positiva non solo per il rinvio delle disposizioni del Codice del Terzo settore (Dlgs 117/2017 o Cts) al Dlgs 231/2001 ma anche alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali. Infatti, se da un lato è lo stesso articolo 30 del Cts che impone all’organo di controllo di vigilare sulla corretta amministrazione con riferimento anche alle disposizioni della 231, dall’altro la stessa Cassazione (45100/2021) si è espressa in tal senso. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha affermato che «in maniera del tutto condivisibile il Dlgs 231/01 evoca l’intero spettro dei soggetti di diritto non riconducibili alla persona fisica, indipendentemente dal conseguimento o meno della personalità giuridica e dallo scopo lucrativo o meno perseguito».

Con la conseguenza quindi che anche il mondo non profit potrà essere destinatario della disciplina prevista dal Dlgs 231/2001. Non servirà che l’ente sia dotato della personalità giuridica per poter adottare il modello di gestione e organizzazione (Mog), seppur l’accesso al Runts consentirà di richiedere il riconoscimento (articolo 22 Cts). Ma cosa prevede nel dettaglio il Dlgs 231/2001 e come si adatta agli enti del terzo settore? Si tratta di una disciplina che regola la responsabilità degli enti qualora i soggetti di cui all’articolo 5 del Dlgs 231/2001 ( apicali o persone sottoposte alla loro vigilanza) abbiano compiuto reati nell’interesse e vantaggio del medesimo. In tal caso, infatti, l’ente viene chiamato a rispondere in sede penale degli illeciti amministrativi dipendenti da reato e, in caso di condanna, sarà sottoposto, a sanzioni pecuniarie salvo casi particolari che impongono misure interdittive. Sanzioni pecuniarie che variano a seconda del reato commesso e che possono in taluni casi avere conseguenze considerevoli per l’ente che, nei casi più gravi, possono sfociare nell’estinzione dell’ente stesso.

Ed è in questo contesto, che il citato decreto, richiede all’ente di dotarsi di apposito modello organizzativo di gestione e controllo che, laddove risulti idoneo, consentirà di scongiurare qualsiasi tipo di responsabilità per l’ente. Una scelta questa che potrà essere adottata, ad esempio, da quegli Ets che esercitano la propria attività di interesse generale nell’ambito della valorizzazione dei beni culturali, in campo umanitario o ambientale. Accanto al Mog la cui funzione è quella di prevenire la commissione dei reati elencati dal Dlgs 231/2001, occorrerà che ci si doti di un apposito organismo di vigilanza (Odv) «con il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento,dotato di automi poteri di iniziativa e di controllo», al fine anche di difendersi in sede processuale, in caso di imputazione per l’illecito amministrativo.

Con particolare riferimento al Mog, si tratta di un processo articolato che richiede diverse fasi e una costruzione ragionata. Occorre, infatti, seguire uno schema che, secondo le circolari della Guardia di finanza e di alcune linee-guida, riprenda i processi di risk assesment e management normalmente attuati nelle imprese, con un contenuto minimo obbligatorio e non derogabile. Sulla scorta di tale impostazione, quindi, con i necessari correttivi e adattamenti, potrebbe essere utilizzato il metodo tipico delle società commerciali, ovvero il risk approach. Una metodologia che ha lo scopo di individuare il rischio associato a determinati pericoli o sorgenti di rischio, che prevede tre fasi «as is analysis», «risk assessement» e si conclude con la gestione del rischio «risk management». Un metodo questo che potrebbe essere adottato anche dagli Ets con i dovuti correttivi necessari per adattarlo alle specificità degli enti no profit.

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