Espropriazioni: esecuzioni, il tetto guarda ai beni
La manovra correttiva ha apportato una novità sulle esecuzioni immobiliari, lasciando tuttavia qualche perplessità sulla corretta interpretazione della modifica. La norma (articolo 76 del Dpr 602/73, riformato dal Dl 69/2013) consente l’espropriazione immobiliare da parte dell’agente della riscossione a condizione che non si tratti dell’unico immobile di proprietà del debitore adibito a uso abitativo e nel quale risulti la residenza anagrafica del debitore. Fanno eccezione gli immobili con caratteristiche di lusso (decreto 2/08/1969) ovvero accatastati come A/8 e A/9, per i quali l’espropriazione è consentita a prescindere dal fatto che siano abitazione principale del contribuente. In tutte le altre ipotesi, l’espropriazione è possibile solo per crediti erariali superiori a 120mila euro e può essere avviata se è stata iscritta ipoteca e sono trascorsi almeno sei mesi senza che il debitore abbia pagato le somme dovute. La norma prevede poi che il concessionario non proceda all’espropriazione immobiliare se il valore del bene è inferiore a 120mila euro. La modifica contenuta nel Dl 50/2017 «sostituisce la locuzione «del bene» con «dei beni», con la conseguenza che il concessionario non potrà espropriare se il valore dei beni è inferiore a 120mila euro. Non è chiaro, tuttavia, se la valutazione dei beni per determinare il limite di 120mila debba essere operata sulla totalità delle proprietà del contribuente o solo sugli immobili da pignorare sui quali è stata iscritta l’ipoteca dall’agente della riscossione.