Controlli e liti

Il saldo negativo di cassa può far scattare la rettifica

di Roberto Bianchi

La sussistenza di un saldo negativo di cassa che comporta voci di spesa che risultano di entità superiore alla risultanza degli introiti registrati, oltre a rappresentare una irregolarità contabile fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo. A tale conclusione è giunta la Cassazione mediante l’ ordinanza 22698/2019 .

La voce «cassa» raffigura un conto rilevante ai fini della corretta tenuta della contabilità di un’impresa e di conseguenza, quanto meno in vigenza del regime di contabilità ordinaria, può essere utilizzata dall’agenzia delle Entrate, al pari di tutti gli ulteriori documenti, in ambito accertativo.

La Suprema corte si era già occupata (sentenze 25289/2017 e 11988/2011) in precedenza di questa peculiare situazione giungendo alla conclusione che le voci di spesa di entità superiore a quella degli introiti registrati, presuppongono la sussistenza di ulteriori ricavi non contabilizzati. In tale contesto l’Ufficio non è tenuto a fornire prova ulteriore per dimostrare la relazione tra la movimentazione del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati, in quanto l’onere della prova compete al contribuente, tenuto a fornire elementi probatori contrari alla presunzione di ulteriori componenti positivi di reddito, ovvero a dimostrare errori di scritturazione o problemi d’impostazione contabile (Cassazione 123/2017).

Il collegio di legittimità ha ribadito pertanto la possibilità di esperire, in presenza di un saldo negativo del conto cassa, un accertamento analitico-induttivo da parte dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi del comma 1 lettera d) dell’articolo 39 del Dpr 600/1973, contestando il disavanzo di cassa alla stregua di ricavi non dichiarati.
In merito alla possibilità di procedere, relativamente alla vicenda in esame, mediante l’accertamento induttivo puro, i giudici di legittimità avevano già fornito una risposta con la sentenza n. 8330/2012, nella quale era emerso che l’agenzia delle Entrate, dopo aver riscontrato la presenza del saldo di cassa negativo, non si era limitata a recuperare, in termini di maggiori ricavi, l’importo corrispondente all’ammanco, ma ha utilizzato tale circostanza esclusivamente quale presupposto per poter determinare induttivamente i nuovi ricavi in base al comma 2 lettera d) dell’articolo 39 del Dpr 600/1973.

Analoga situazione si era verificata nel caso trattato dalla ordinanza 25289/2017 nella quale l’Ufficio, riscontrata la presenza di un saldo cassa negativo e l’incompatibilità di tale conto con i dati dei conti correnti bancari, aveva ricostruito indirettamente i ricavi sulla base del costo del personale e dei consumi. Il saldo negativo del conto cassa, pertanto, era stato utilizzato dall’Amministrazione finanziaria per asserire l’inattendibilità della contabilità, presupposto per esperire l’accertamento induttivo puro in base al comma 2 lettera d) dell’articolo 39 del Dpr 600/1973.

Pare potersi pertanto affermare che, in presenza di un saldo negativo del conto cassa, l’Ufficio è legittimato a procedere o in via analitico-induttiva mediante l’accertamento di maggiori ricavi pari al disavanzo di cassa riscontrato, utilizzando presunzioni semplici qualificate, oppure con metodo induttivo puro, prescindendo anche totalmente dalla contabilità e accertando maggiori ricavi in base a un determinato criterio, che può essere specifico della posizione controllata o generico, atteso che per tale metodologia accertativa è sufficiente la sussistenza di una presunzione semplicissima, ovvero sprovvista dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Cassazione, ordinanza 22698/2019

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