Controlli e liti

Indagini finanziarie, per i giudici le nuove soglie sono retroattive

di Giorgio Gavelli

I limiti (giornalieri e mensili) introdotti dal legislatore (articolo 7-quater del Dl 193/2016) relativamente alla presunzione sui prelievi bancari disciplinata dall’articolo 32 del Dpr 602/1973 si applicano anche nei giudizi riguardanti accertamenti già emessi alla data di entrata in vigore della modifica normativa (3 dicembre 2016). È il principio che si ricava dalla decisione del 12/1/2018 della Commissione tributaria provinciale di Isernia (presidente Longo, relatore Di Geronimo), che segue di pochi mesi l’analoga decisione della Commissione tributaria di secondo grado di Trento 79/01/2017 (presidente Pascucci, relatore Chiettini).

In base alla norma, la presunzione che assimila ai ricavi i prelievi operati dalle imprese sui conti correnti e altri rapporti bancari – se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili – scatta solo nel caso in cui siano superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, a 5mila euro mensili. Questa disposizione, che dovrebbe semplicemente orientare gli uffici nell’attività di accertamento, è ormai abitualmente inquadrata dalla Cassazione come una presunzione legale a favore dell’Amministrazione finanziaria, non applicabile nei confronti dei professionisti per effetto della sentenza 228/2014 della Consulta (ad esempio, Cassazione, sentenza 19806/2017).

Sulla decorrenza di questa modifica è sorto un ampio dibattito. L’agenzia delle Entrate, con la circolare 8/E/2017 (risposta n. 19.1), ha sposato la tesi della rilevanza solo “a futuro”, riconoscendone l’applicabilità (solo) agli accertamenti ancora non notificati al 3 dicembre 2017, anche ove riferiti a periodi d’imposta precedenti, ma non a quelli già emessi a tale data. Nelle proprie direttive operative (nota 109546/2017), la Guardia di finanza ha riconosciuto alla modifica normativa un carattere retroattivo, riferito «a tutti i periodi d’imposta ancora accertabili».

Come era facile prevedere (si veda Il Sole 24 Ore del 4 settembre 2017), i nuovi “paletti”, proprio perché mirano a colmare una lacuna che rendeva difficile l’applicazione della presunzione, non possono non influenzare i giudizi in corso, indipendentemente dalla data dell’accertamento o dal periodo accertato. Del resto, già l’Agenzia (circolare 32/E/2006) aveva richiesto agli uffici di agire con ragionevolezza, trattandosi di somme da ricondurre (al di fuori della patologia) alla gestione familiare del soggetto accertato. Pertanto, se per i giudici trentini i nuovi limiti «possono spiegare gli effetti anche in relazione a rapporti pregressi e non ancora conclusi» e a tutte le vicende ancora processuali non definite, per i giudici molisani non risulta applicabile al caso specifico il principio del tempus regit actum, trattandosi di una «regola di valutazione probatoria, in quanto tale applicabile in tutte le diverse fasi del procedimento tributario, a iniziare dalla verifica fino a giungere al processo».

Insomma, siamo di fronte più che a un problema di decorrenza formale, a una “bussola” a supporto di decisioni meglio ponderate (e di possibili accordi in sede conciliativa).

Ctp Isernia, sentenza 12/1/2018

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