La Ctp non può annullare una sentenza perché intestazione e contenuto non sono allineati
La Ctr Lombardia, con la sentenza 1472/2019 (Presidente e relatore Chindemi) ha dichiarato la nullità del provvedimento con cui il presidente della Ctp di Milano aveva annullato la registrazione della sentenza di primo grado «per inemendabile discrasia tra l’intestazione e il capo del provvedimento». Per il collegio, l’atto adottato dal presidente della Ctp sarebbe «provvedimento abnorme» e come tale radicalmente nullo con conseguente inesistenza della sentenza pronunciata in luogo di quella “emendata” e inammissibilità del relativo appello. In definitiva, non può annullarsi con provvedimento presidenziale una sentenza precedentemente pronunciata, anche se questa appaia inesistente per essere corretta l’intestazione ed errato il contenuto, riferito ad altra vertenza. In dottrina, come in giurisprudenza, si assiste spesso all’uso promiscuo dei termini di sentenza «nulla», «inesistente» o «provvedimento abnorme» senza che queste fattispecie poi coincidano completamente tra loro, soprattutto per i rimedi utilizzati per il loro annullamento. Si ha sentenza nulla o anomala quando il provvedimento giurisdizionale usato a conclusione del procedimento giudiziale riveste una forma diversa da quella prevista dallo schema legale tipico per il suo contenuto (Cassazione, sentenza 3872/2005). In questo caso, la sentenza sarà impugnabile con gli ordinari mezzi di impugnazione, divenendo altrimenti irrevocabile, perché si tratta di nullità sanabile (articolo 161 del Codice di procedura civile). Diverso il caso di inesistenza, nullità radicale o abnormità della sentenza, che si ha quando un provvedimento, pur denominato formalmente sentenza, manchi degli elementi essenziali previsti dall’articolo 132 del Codice di procedura civile per qualificare l’atto come sentenza.
Nullità e inesistenza giuridica
La cosiddetta inesistenza giuridica o nullità radicale di un provvedimento con contenuto decisorio si ha quando erroneamente un giudice adotta una pronuncia, pur essendo carente di potere ovvero quando emani una decisione dal contenuto abnorme, irriconoscibile da un punto di vista giuridico come atto processuale di un determinato tipo. In questo caso, ove ricorra l’interesse della parte a una espressa rimozione dell’atto processuale viziato, la pronuncia potrà essere impugnata con i normali mezzi di impugnazione nonché, in ogni tempo, con una azione di accertamento negativo (actio nullitatis), ovvero con un’eccezione (exceptio nullitatis), anche in sede di opposizione all’esecuzione (Cassazione, sentenze 12102/03, 488/15, 29325/17). Questo perché l’atto abnorme, a differenza dell’atto nullo, non potendosi riconoscere come “sentenza” è affetto da nullità assoluta, insanabile, inidonea a passare in giudicato. Pertanto, a differenza dei casi di nullità della sentenza, che attengono alla forma dell’atto e possono venire eliminate con i normali mezzi di impugnazioni, le sentenze inesistenti o abnormi, non potendo essere riconosciute come tali dall’ordinamento giuridico, possono venire eliminate in ogni tempo con una azione di accertamento, ma anche - come nella fattispecie - a seguito dell’esperimento di un mezzo ordinario di impugnazione, per l’interesse concorrente della parte e del sistema ad espellere dall’ordinamento un provvedimento abnorme.
Ctr Lombardia, sentenza 1472/2019