Linea dura sulle Srl a base ristretta
Nelle società di capitali a ristretta base azionaria i proventi dell’evasione si presumono distribuiti ai soci salvo prova contraria. È questa la prassi dell’amministrazione finanziaria che sta caratterizzando anche gli atti impositivi notificati in questi giorni o comunque entro fine anno per evitare la decadenza. Si tratta, più in particolare, degli accertamenti ai soci di società (Srl o Spa), a ristretta compagine sociale e/o a carattere familiare, ai quali l’amministrazione imputa per trasparenza gli utili derivanti dalle maggiori somme contestate all’ente.
IL GRAFICO / Le affermazioni della Corte
Sebbene secondo l’orientamento maggioritario della Cassazione l’imputazione ai soci debba fondarsi su un atto definitivo a carico della società, gli uffici per evitare la decadenza emettono contemporaneamente l’avviso di accertamento sia alla società, sia ai soci.
Su questo tipo di pretese si riscontrano diverse perplessità, anche se di norma la correttezza è confermata dalla Corte di cassazione.
La questione
In caso di rettifica della dichiarazione di una società, l’ufficio contesta al socio l’omessa indicazione di un reddito di capitale, in proporzione alle quote o azioni possedute. L’amministrazione, cioè, presume che i maggiori ricavi “scoperti” all’ente siano confluiti al socio al pari di un’ordinaria distribuzione di dividendi. La presunzione è radicata nella circostanza che per le società a ristretta base azionaria e/o familiare esista, tra i soci, una complicità tale che gli utili extracontabili siano divisi direttamente. Secondo il costante orientamento della Cassazione il ridotto numero dei soci consente infatti di presumere che gli stessi abbiano maggiore conoscibilità degli affari societari e vi sia un reciproco controllo della gestione.
In assenza della prova contraria da parte degli interessati di un reinvestimento nelle casse aziendali degli utili extracontabili, ovvero di altra destinazione delle medesime somme, gli stessi vengono ripartiti, tra i soci.
I costi indeducibili
In presenza di queste rettifiche, la principale problematica riguarda i costi sostenuti dalla società che l’amministrazione considera indeducibili (si veda l’altro pezzo in pagina). Le somme relative, normalmente, sono attribuite al socio in via automatica, nonostante a ben vedere, non possano essere state incassate. Infatti, un costo sostenuto dalla società, anche qualora ritenuto indeducibile ai fini fiscali, rappresenta pur sempre un esborso di denaro. Vale a dire che tali somme mai potrebbero essere distribuite tra i soci perché già destinate al soggetto fornitore del bene o del servizio. Gli uffici, invece, ritengono legittima l’imputazione basandosi anche su due isolate pronunce della Suprema corte (17959 e 17960 del 2012).
Le società in perdita
Può poi verificarsi che la società accertata sia in perdita. La Corte di cassazione sul punto ritiene che le somme occultate non transitino dalla contabilità. Per cui tali importi cui non hanno di sicuro altra destinazione (ad esempio reimpiego nelle attività aziendali, eccetera) se non quella della distribuzione ai soci, con la conseguenza che un’eventuale perdita risulta del tutto irrilevante ai fini della rettifica in capo ai soci, proprio perché si tratta di somme “occulte”. È in ogni caso possibile per il contribuente dare prova contraria e quindi dimostrare il reinvestimento degli utili nell’impresa.
Il periodo d’imposta
Infine, si dibatte sull’esatto periodo d’imposta in cui imputare gli utili extrabilancio. L’Agenzia, normalmente, fa coincidere l’anno della rettifica alla società con l’attribuzione di redditi di capitale ai soci: presume, cioè, che il “nero” prodotto dalla società sia stato immediatamente distribuito.
In genere i giudici di legittimità hanno confermato tale tesi, sul presupposto che gli utili “extrabilancio” non hanno una deliberazione ufficiale per la loro distribuzione, sicché si intende avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti.
IL GRAFICO / Le affermazioni della Corte