Niente rivalsa sui cessionari cancellati dal Registro
Esclusa la possibilità di rivalsa nei confronti di soggetti cancellati dal registro imprese e impossibilità di recupero dell’imposta rivalsata con emissione della nota di credito, in caso di mancato pagamento. Questi i chiarimenti forniti ieri dalle Entrate che, con la risposta n. 531, hanno ribadito la posizione espressa nelle risposte 84/2018 e 176/2019.
Il quesito prospettato dall’istante interessa due istituti della normativa fiscale ai fini Iva volti, entrambi, alla tutela del principio di neutralità e di proporzionalità dell’imposta, riconosciuti in ambito unionale. L’Agenzia evidenzia che l’articolo 60, comma 7, è una norma volta a ripristinare la neutralità dell’Iva, garantita dal meccanismo della rivalsa, esercitabile dal fornitore a condizione che lo stesso abbia corrisposto definitivamente le somme dovute all’erario, e al diritto di detrazione, esercitabile dal cliente, sempre a condizione che lo stesso abbia corrisposto alla controparte quanto addebitatogli a titolo di rivalsa.
Tuttavia, secondo l’Agenzia, la neutralità non è ripristinabile ove, pur ricorrendo le condizioni necessarie a rendere il diritto di rivalsa astrattamente esercitabile, il cessionario risulti cancellato dal registro delle imprese. Detto principio sarebbe giustificato dal fatto che, con la cancellazione del cessionario dal registro delle imprese e la conseguente estinzione definitiva, viene meno la controparte contrattuale nei cui confronti esercitare la rivalsa e questo principio si renderebbe applicabile a prescindere dalla tipologia giuridica della controparte: società di capitali, società di persone o ditta individuale. L’istante, infatti, aveva prospettato la possibilità di rivalersi, verso tali ultime due categorie di soggetti, rispettivamente nei confronti del titolare della ditta individuale ovvero dei soci delle società di persone.
Esclusa detta possibilità, l’Agenzia non riconosce neanche la facoltà in capo al cedente/prestatore di emettere una nota di variazione in diminuzione, nell’ipotesi in cui, una volta esercitata correttamente la rivalsa, il credito non risulti soddisfatto neanche a seguito di procedura esecutiva infruttuosa. L’Agenzia giustifica detto diniego in considerazione della «specialità» della rivalsa dettata dall’articolo 60, ultimo comma, e ritiene che, in caso di mancato pagamento dell’Iva da parte del cessionario/committente, l’unica possibilità consentita al fornitore per il recupero dell’Iva pagata all’erario, addebitata in rivalsa e non incassata, sarebbe quella di adire l’ordinaria giurisdizione civilistica, non potendosi invocare altri istituti contemplati dalla disciplina Iva.
In realtà, proprio sulla base dei principi unionali, che consentono la rettifica e il ripristino della situazione originaria di neutralità, non si ritiene di condividere la posizione dell’Agenzia. Ciò in quanto l’articolo 60, ultimo comma, non ha una natura di specialità rispetto alle altre norme che disciplinano il funzionamento dell’Iva, ma, trattandosi di una norma introdotta a seguito di una procedura di infrazione attivata nei confronti dell’Italia, per ripristinare il corretto funzionamento dell’Iva può essere al più letta come una norma derogatoria rispetto agli ampi margini lasciati dalla normativa unionale che ammettono la rettifica in caso di mancato pagamento. Lo scopo dell’articolo 60, comma 7 è stato quello di riaprire il termine per l’esercizio del diritto a detrazione in capo al cessionario che si vede riaddebitare l’imposta in rivalsa; imposta che, altrimenti, assume la veste di sanzione impropria.
Agenzia delle Entrate, risposta a interpello 531/2019