Per semplificare il fisco bisogna agire su due fronti
Un tema evergreen: come semplificare il sistema tributario. Superfluo soffermarsi sulle ragioni che rendono il nostro sistema complesso. Concordo comunque con chi ritiene che la complessità non dipenda dalle sole regole procedurali (per esempio dalla eccessiva mole di adempimenti); il sistema è complesso soprattutto perché molto articolato e plurilivello è il diritto tributario sostanziale. È dunque necessario affrontare il problema delle semplificazioni agendo sia sul fronte della disciplina tributaria sostanziale che su quello degli obblighi strumentali.
Quanto al primo fronte, un fattore di complessità, sottovalutato, è la precarietà della disciplina tributaria sostanziale. Emblematica è la vicenda dell’imposta sostitutiva dovuta per la rivalutazione di taluni asset produttivi, in caso di cessione onerosa, di redditi diversi. A partire dal 2002, come noto, con cadenza periodica, è stato consentito alle persone fisiche non esercenti attività di impresa di rideterminare, previa redazione di una perizia giurata di stima e versamento di un’esigua imposta sostitutiva, il costo di acquisto di terreni agricoli e di aree edificabili oltreché di quote di partecipazione in società.
Ebbene, a dispetto del carattere eccezionale che dovrebbe caratterizzare i provvedimenti che consentono di (ri)allineare i valori fiscalmente riconosciuti al mutato metro monetario, le disposizioni in discorso hanno progressivamente perso il carattere della straordinarietà con riaperture dei termini talmente ravvicinate nel tempo (se ne contano, ad oggi, ben 14) da far pensare ad una vera e propria stabilizzazione del prelievo in parola.
Perché allora non superare definitivamente la precarietà di tale forma di prelievo optando per un inserimento a regime nell’ordinamento di questa imposta sostitutiva, la quale, in definitiva, andrebbe ad aggiungersi ai molti prelievi cedolari che oggi caratterizzano il sistema di imposizione sul reddito prodotto dalle persone fisiche ?
Quanto invece al secondo fronte, si pensi all’introduzione, avvenuta ad opera del Dl n. 193 del 2016, dell’obbligo di comunicare, analiticamente e con cadenza trimestrale (a regime dal 2018), i dati relativi alle fatture emesse e ricevute (il nuovo spesometro). Curiosa l’evoluzione normativa che ha condotto a questa previsione; e invero, il Dlgs n. 127 del 2015, dando attuazione alla delega n. 23 del 2014, aveva previsto un regime opzionale di trasmissione dei dati delle fatture emesse e ricevute riconoscendo, al contempo, una corsia preferenziale nell’esecuzione dei rimborsi Iva ed una riduzione dei termini di accertamento. A fine 2016 il legislatore è parzialmente tornato sui suoi passi e, disponendo l’obbligatorietà dell’adempimento in oggetto, non ha riconosciuto ai soggetti passivi Iva i su ricordati effetti premiali (come rilevato da Assonime, più apparenti che reali), i quali restano irragionevolmente a esclusivo beneficio di quanti esercitano l’opzione.
Ovvio pensare dunque oggi all’abrogazione dello “spesometro” opzionale estendendo gli effetti premiali a tutti i contribuenti che hanno correttamente adempiuto a quello obbligatorio e abrogando la previsione, di difficile attuazione, che impone la tracciabilità dei pagamenti superiori ai 30 euro per poter beneficiare della riduzione dei termini di accertamento.
Il suddetto obbligo di comunicazione, peraltro (lo ha evidenziato anche il Cndcec), unito a quello di trasmissione trimestrale dei dati delle liquidazioni Iva, moltiplica i costi di gestione dell’adempimento tributario senza alcun reale beneficio per i contribuenti, rendendo sostanzialmente inutile l’invio di una dichiarazione annuale che, in fin dei conti, riproduce dati già in possesso dell’Agenzia. Di qui anche la necessità e/o l’opportunità di superare, in linea peraltro con quanto raccomandato da autorevoli organizzazioni internazionali (Fmi e Ocse), gli obblighi dichiarativi annuali in ambito Iva.