Imposte

Si può dedurre l’Iva non detraibile in assenza della fattura dell’albergo

Inerente il costo sostenuto a fronte della rimessione del debito dei propri soci

di Giuseppe Carucci e Barbara Zanardi

È da ritenersi inerente, e dunque deducibile, l’Iva indetraibile per effetto della mancata richiesta di emissione della fattura per prestazioni alberghiere e di ristorazione che gli albergatori e i ristoratori sono tenuti a emettere, in forza dell’articolo 22, comma 1, numero 2 del Dpr 633/1972, su richiesta del cliente. In termini generali, infatti, l’Iva afferente tali prestazioni è integralmente detraibile secondo le regole ordinarie «nella misura in cui i servizi stessi risultino inerenti ad operazioni che consentono l’esercizio del diritto alla detrazione e siano documentati con fattura» (circolare 25/E/2010).

È, inoltre, riconosciuto il diritto alla detrazione nell’ipotesi in cui la fattura relativa alle prestazioni alberghiere e di ristorazione sia intestata esclusivamente al “committente” seppur le prestazioni siano fornite a soggetto diverso. In tal caso, per detrarre sussiste l’obbligo di indicare i dati dei fruitori della prestazione nella fattura elettronica o in una apposita nota (circolare 6/E/2009) da conservare in allegato.

Nel caso in cui i costi da sostenere per eseguire gli adempimenti Iva connessi alle fatture siano superiori al vantaggio economico costituito dall’importo dell’Iva detraibile, l’imprenditore e il professionista possono decidere di non richiedere le fatture per le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande e, conseguentemente, non possono detrarre l’Iva assolta sulle stesse.

In tal caso, posto che la scelta dell’operatore è fondata su valutazioni di convenienza economico-gestionale, si può riconoscere all’Iva non detratta per mancanza della fattura, la natura di “costo inerente” all’attività esercitata e, pertanto, la deducibilità ai fini delle imposte sui redditi.

Un’altra risposta di analogo tenore è stata data dall’agenzia delle Entrate (121/2018) nel caso di una società che decide di accollarsi un debito dei propri soci, rinunciando alla rivalsa. Tale debito riguardava un risarcimento dei danni procurati a una terza società per aver sottratto parte della clientela a favore dell’«accollante». Il tema attiene, dunque, alla valutazione dell’inerenza del costo derivante dall’operazione.

L’Agenzia, in questo caso, considera inerente il costo accollatosi dalla società, valutando la peculiare attività svolta, i ricavi che la stessa ha potuto conseguire in quanto i soci le hanno apportato i clienti “distratti”, nonché il fatto che i soci si sono obbligati a effettuare prestazioni accessorie da svolgere anche nei confronti dei predetti clienti.

Pertanto si ritiene che l’onere sostenuto a fronte della remissione del debito risulti, nei fatti, correlato all’attività economica svolta dalla società e soddisfi quindi il principio di inerenza.

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