Sul «beneficiario effettivo» parola alla Corte Ue
Negli ultimi tempi la Corte di cassazione ha trattato il tema del “beneficiario effettivo” delineandone rango e finalità (si veda la sentenza 25281/2015 secondo cui è una clausola generale dell'ordinamento fiscale internazionale, volta ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali) o i relativi criteri di applicazione (si veda la sentenza 27113/2016 sull'inquadramento delle holding statiche).
Gli operatori non riescono però a risolvere tutti i dubbi su temi quali la sua funzione antielusiva, oppure, relativamente al requisito del godimento del reddito senza obblighi di retrocessione, il rilievo esclusivo dell'inquadramento in termini giuridici (“contractual or legal obligation”) o invece anche tenendo conto delle circostanze di fatto (strutture “back-to-back”).
Un imponente contributo verrà probabilmente fornito dalla Corte di giustizia Ue, innanzi alla quale sono pendenti sette cause danesi (da C-115/16 a C-119/16, C-299/16 e C-682/16) incentrate sul tema del beneficiario effettivo nel contesto delle libertà fondamentali e delle direttive europee su dividendi (due cause) e interessi (cinque cause). Per sei di tali cause nei primi giorni terrà la pubblica udienza di discussione innanzi alla “Grand Chambre”.
La semplice lettura delle questioni sollevate rende chiara la portata europea delle future decisioni. Il giudice danese, infatti, chiede alla Corte di pronunciarsi su molteplici aspetti tesi a definire la nozione. Il tutto in un contesto, quello di interessi e dividendi, in cui si incontrano direttive, libertà fondamentali Ue e il modello Ocse (compresi alcuni temi cardine del minimum standard Beps sul Treaty Abuse quali la Ppt).
Si pensi alla questione, comune a tutte le cause, se il beneficiario effettivo debba considerarsi una nozione di diritto comunitario o di diritto nazionale; se la stessa vada intesa con riferimento al Commentario del 1977; se si debbano considerare anche le successive precisazioni sulle “conduit companies” (2003) e sulle “legal and contractual obligations” (2014).
Ma il giudice danese chiede anche se, per definire il beneficiario effettivo, rilevi se il percettore è finanziato con equity, capitalizzi gli interessi, li imputi a capitale sociale per rinuncia, rigiri (e con che tempi e/o modalità) a terzi in forza di obbligo legale o contrattuale, oppure paghi gli interessi o i dividendi ad un soggetto che se li avesse incassati direttamente non avrebbe subito la ritenuta. E cosa comporta il fatto che il giudice nazionale, pur in assenza di un obbligo legale o contrattuale, si convinca che il percettore non abbia relativamente agli interessi ricevuti il “full right to use and enjoy”?
La Corte Ue ha recentemente statuito (causa C- 6/16, Eqiom) che norme nazionali, pur antiabuso, che operano con presunzioni automatiche non sono compatibili con la Direttiva stessa e con la libertà di stabilimento.
Tuttavia, la Corte ha “glissato” sui criteri da adottare per ritenere che una holding sia una costruzione artificiosa. Tali criteri erano stati declinati dall'Avvocato generale (vedi paragrafo 57 delle conclusioni) nel senso che, anche se la società madre non è fantasma ma ha presenza fisica, per valutare l'artificiosità è necessario considerarne le circostanze «personali e finanziarie» ed in particolare «gli effettivi poteri decisionali degli organi societari, la loro dotazione di mezzi finanziari propri o l'esistenza di un rischio commerciale» (ossia criteri che echeggiano la “sostanza economica” delle linee guida post Beps).