Imposte

Tassa di soggiorno in albergo: il gestore è «agente contabile»

Nell’ipotesi di ritardato o mancato versamento del tributo, per chi amministra la struttura ricettiva resta la responsabilità erariale

di Luigi Lovecchio

I gestori delle strutture ricettive continuano a rivestire la qualifica di agente contabile, malgrado l’attribuzione della condizione di responsabile d’imposta a opera dell’articolo 180 del Dl 34/2020. La risposta del dipartimento delle Politiche fiscali a Telefisco 2021 non è rassicurante per le imprese alberghiere.

Con la riforma introdotta dall’articolo 180 del Dl 34/2020, i gestori delle strutture ricettive sono stati considerati responsabili d’imposta con diritto di rivalsa dell’imposta di soggiorno nei confronti del turista. Di conseguenza sono obbligati a versare il tributo anche qualora il soggetto che ha alloggiato non abbia versato loro l’ammontare corrispondente. Per tale motivo, in caso di omesso versamento del tributo, il Comune può rivolgersi anche solo al gestore, pretendendo il pagamento dell’imposta e della sanzione del 30%, ex articolo 13, Dlgs 471/1997.

Ci si è interrogati sugli effetti della norma a livello penale. In precedenza, il gestore era del tutto estraneo al rapporto d’imposta, che si instaurava esclusivamente tra il Comune e il turista. Doveva pertanto essere trattato come un ausiliario nella gestione del tributo. Per questo motivo, secondo l’opinione unanime della giurisdizione contabile, l’esercente era da considerarsi a tutti gli effetti “agente contabile”, con tutte le conseguenze (in primis, l’obbligo della resa del conto giudiziale ai fini dei controlli della Corte dei conti, ma anche l’insorgenza della responsabilità per danno erariale).

Inoltre, in caso di ritardato o omesso riversamento dell’imposta all’ente locale, il gestore medesimo era passibile di denuncia per peculato, in quanto incaricato di pubblico servizio (Cassazione penale, 32058/2018).

Tra Cassazione e Corte dei conti

Con la sentenza 30227/2020 (confermata con la pronuncia 36317/20), la Cassazione, sezione penale, nel prendere in esame le modifiche di legge, ha escluso la configurazione del reato di peculato, a decorrere dall’entrata in vigore delle stesse. Ciò in quanto oggi il gestore è debitore in proprio di somme nei confronti dell’ente impositore. Nel contempo, la Suprema corte ha affermato che non opera la depenalizzazione, con riferimento a violazioni commesse in passato, poiché si è modificata radicalmente la struttura della fattispecie di illecito.

In riferimento invece alla qualifica di agente contabile, alcune sezioni giurisdizionali della Corte dei conti (Sicilia e Toscana) hanno ritenuto che nulla sarebbe cambiato sotto il profilo della responsabilità erariale del gestore. Questi resta infatti obbligato a riscuotere l’imposta e a riversarla al Comune, non potendo quindi essere accostato al sostituto d’imposta ma, per l’appunto, al responsabile d’imposta.

In linea di principio, vale rilevare che il responsabile è per sua natura co-obbligato in solido con il contribuente, mentre il sostituto lo diventa solo a fronte di previsioni espresse. Inoltre, la rivalsa verso il contribuente è obbligatoria nel rapporto di sostituzione ma solo facoltativa nel caso del responsabile (articolo 64, Dpr 600/1973).

Il gestore, di conseguenza, continua a essere considerato a tutti gli effetti un agente contabile. Il Mef si è pertanto allineato all’interpretazione della Corte dei conti, che tuttavia non pare coerente con le affermazioni della Cassazione penale. Risulta per vero difficile configurare il maneggio di denaro pubblico, una volta che si è accertato che le somme dovute dall’esercente appartengono al suo patrimonio e non a quello del Comune. E questa, peraltro, è proprio la premessa di fatto per applicare la citata sanzione tributaria del 30 per cento.

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