Uscita se si limita il diritto di voto
Nel caso esaminato dalla sentenza 13875/2017 , si trattava di una Spa di due soci (Tizio con il 60% del capitale e Caio con il 40%), il cui statuto prevedeva quorum decisionali di misura tale da rendere necessario il voto favorevole di Caio per l'adozione delle decisioni assembleari. Morto Caio, la sua partecipazione si suddivide in una pluralità di eredi che non sono in armonia e Tizio ha gioco facile in assemblea per approvare una modifica statutaria che diminuisce il quorum decisionale a un livello tale da permettergli di adottare deliberazioni assembleari senza più la necessità del voto favorevole di altri soci.
Taluno degli eredi di Caio pretende di esercitare dunque il recesso e di ottenere così la liquidazione della propria partecipazione, sostenendo che la deliberazione di diminuzione del quorum sarebbe appunto un caso di modificazione statutaria concernente «i diritti di voto o di partecipazione». I giudici che analizzano la controversia sono dunque “costretti” a dare un significato concreto alle parole che il legislatore ha espresso in termini così generali.
La Cassazione ha smarcato anzitutto il punto dei “diritti di partecipazione” aderendo alla tesi che restringe questa espressione intendendola riferita al solo diritto alla percezione degli utili e, quindi, a quella parte della dottrina che ha rifiutato di intendere le parole del legislatore come riferite anche ai cosiddetti “diritti amministrativi” spettanti al socio di Spa, restringendole quindi ai soli “diritti patrimoniali” del socio.
Quanto al tema della modificazione statutaria che incide sui “diritti di voto”, la Suprema Corte svolge il ragionamento che tale è una delibera che limiti il diritto di voto; e che tale non è una delibera (come quella che riduca la percentuale di voti favorevoli occorrente per adottare una deliberazione assembleare) che, senza limitare il diritto di voto, abbia come conseguenza una diminuzione del “peso” di un azionista nell'assemblea.
Con riferimento alle delibere assembleari che hanno come conseguenza la limitazione dei diritti di voto e che, pertanto, legittimano il recesso del socio assente o dissenziente rispetto a esse, la Cassazione ne fornisce una preziosa esemplificazione pratica: è, ad esempio, il caso delle azioni prive del voto che vengono dotate di diritto di voto; il caso delle azioni con voto esprimibile solo su determinati argomenti, qualora venga modificato l'ambito delle materie nelle quali esse hanno diritto di voto; il caso delle azioni che hanno il voto al ricorrere di determinate condizioni, ove venga mutato il novero di queste condizioni; il caso dell’introduzione di una soglia percentuale di possesso azionario oltre la quale le azioni perdono il diritto di voto oppure, nell'ipotesi in cui in statuto esista la previsione di una tale soglia, il caso in cui essa venga variata; il caso dell'attribuzione del “voto plurimo” a determinate azioni: il caso dell'introduzione di strumenti finanziari partecipativi dotati del voto in assemblea.
Per i giudici di legittimità, invece, nel caso di modificazione del quorum deliberativo assembleare, il diritto di voto commisurato a ciascuna azione rimane immutato e, quindi, non matura il diritto di recesso: semmai, si verifica una deminutio del titolare del pacchetto azionario che, prima della delibera di abbassamento del quorum, poteva condizionare le scelte della società, mentre, dopo la delibera che riduce il quorum, non può più farlo. Il diritto di recesso in quest'ultimo caso non compete perché l'intenzione del legislatore non è quella di collegare il diritto di recesso a un qualche pregiudizio per il socio ma al fatto oggettivo dell'adozione di una modificazione statutaria che incida sull'espressione del diritto di voto.
Cassazione, sentenza 13875/2017