Imposte

Vendite da magazzino, trattamento unico sul «call off stock»

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di Giampaolo Giuliani

Un’altra delle quattro linee di intervento, introdotta dal 1° gennaio 2020 dalla direttiva 2018/1910 riguarda i contratti di call off stock, cioè quei contratti in cui è prevista la consegna da parte del cedente di beni mobili (o prodotti finiti, semilavorati, componenti o materie prime) presso un deposito di proprietà o comunque in uso del cliente. I beni restano di proprietà del venditore fino a quando il cliente non li preleverà dal deposito per le proprie esigenze produttive. Diversamente, se il prelievo dal deposito determina una successiva vendita a terzi, il contratto è denominato di consignment stock.

Il Fisco italiano non ha mai fatto una distinzione troppo puntuale tra i due contratti, tant’è che in alcune risoluzioni il riferimento ai contratti di consignment stock riguarda in realtà i contratti di call off stock. Ad ogni modo, in entrambi i contratti il trasferimento del titolo di proprietà sui beni dal venditore/depositante al cliente/depositario si realizza nel momento in cui i beni sono prelevati dal cliente depositario.

Il Fisco in diverse risoluzioni (si veda per tutte la 235 del 1996) ha riconosciuto questo differimento a condizione che il cedente, quando invia i beni:
annoti l’uscita in apposito registro, così come previsto dall’articolo 50, comma 5, del Dl 331/1993;
faccia scortare i beni dal documento di trasporto;
emetta la fattura in base all’articolo 41, comma 1, lettera a) del Dl 331/1993 al momento del prelievo dei beni da parte dell’acquirente e, infine, compili il modello Intra 1 e annoti lo scarico nel registro citato in precedenza.

Non tutti gli Stati membri, però, hanno adottato questa soluzione (seguita invece da Francia e Germania). Ad esempio, ci sono Paesi che pretendono l’apertura della partita Iva – ovviamente, nel proprio Stato – da parte del soggetto passivo cedente residente in altro Paese membro. Rientrano in questo gruppo Danimarca, Estonia, Grecia, Malta, Portogallo e Spagna, i quali ritengono che la inziale movimentazione dei beni (comunemente denominata operazione di transfer) integri un trasferimento di beni a sé stessi assimilato, ai fini Iva, a una cessione intracomunitaria.

Per evitare queste distinzioni tra Paesi membri, dal 1° gennaio 2020 la Ue prevede l’introduzione di un regime unico per i contratti di call off stock che, nella sostanza conferma la posizione finora assunta dall’Italia. In particolare, il legislatore unionale pone molta attenzione al registro, che assume un ruolo centrale nel determinare la sospensione della cessione ancorché i beni siano stati trasferiti al cessionario.

Questo effetto sospensivo opera però nel limite di 12 mesi, ovvero quando i beni sono prelevati, entro questo lasso di tempo, dal cessionario oppure, più in generale, se i beni sono ceduti a soggetto terzo o sono trasportati in un altro Paese e, ancora, in caso di distruzione o di furto.

In simili ipotesi il cedente dovrà emettere fattura in regime di non imponibilità in base all’articolo 41 del Dl 331/1993 (fatturando al cessionario solo nel caso in cui questi prelevi i beni, mentre negli altri casi - ad esempio, in ipotesi di furto - il cedente dovrà alla propria partita Iva nel Paese in cui sono depositati i beni). Circa le informazioni che devono essere annotate sui registri, il regolamento 2018/1912 del 4 dicembre 2018 ha previsto una modifica al regolamento 282/2011 del 15 marzo 2011 introducendo il nuovo 54-bis.

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