Attività sportive con limiti all’esenzione Iva
La direttiva che si riferisce ad alcune prestazioni in ambito sportivo non produce un effetto diretto nell'ordinamento nazionale che non prevede le attività di cui si occupa l'ente
Con il disegno di legge C2790 - legge di Bilancio 2021 - presentato il 18 novembre 2020, il Governo italiano ha tentato di rispondere alla procedura di infrazione europea, in atto ormai da dodici anni, sull'anomalo recepimento della direttiva 2006/112/CE, che disciplina l'imposta sul valore aggiunto, per gli aspetti relativi a questa imposta nei confronti di alcuni enti non commerciali senza fini di lucro.
La direttiva prevede infatti l'esenzione da Iva all'articolo 132, § 1, lettera l (prestazioni di servizi e cessioni di beni loro strettamente connesse effettuate nei confronti dei propri membri nel loro interesse collettivo, dietro pagamento di quote fissate in conformità dello statuto, da organismi senza fini di lucro, che si prefiggono obiettivi di natura politica, sindacale, religiosa, patriottica, filosofica, filantropica o civica, purché tale esenzione non possa provocare distorsioni della concorrenza) e alla successiva lettera m (talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica, fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l'educazione fisica).
L'esistenza di una norma di esenzione postula che chi fa servizi o cede beni e riceve in cambio un corrispettivo sia un soggetto passivo ai fini dell'imposta sul valore aggiunto. In mancanza di soggettività l'operazione non sarebbe esente ma esclusa (o in base ai relativi sinonimi, non soggetta o fuori campo).
Risulta quindi evidente che per la direttiva gli enti associativi della lettera l) e quelli non profit della lettera m (anche se non associativi) abbiano o possano avere la soggettività all'imposta.
Nel nostro ordinamento, dal recepimento della sesta direttiva nel 1979, troviamo norme analoghe, non in termini di esenzione, ma di rimozione del requisito soggettivo. Si veda l'articolo 4 del Dpr 633/1972, quarto comma, secondo periodo e sesto, rispettivamente per gli enti associativi con finalità specifiche coerenti con quelle sopra viste nella direttiva, e le associazioni di promozione sociale (Aps).
I successivi commi settimo, ottavo e nono prescrivono regole per evitare che attività commerciali vengano travestite da istituzioni non profit, che sono coerenti con l'articolo 148 e 149 del Tuir e, soprattutto sono riprese nelle condizioni del Codice del terzo settore (Dlgs 117/2017) per l'iscrizione al Registro Nazionale.
Oltre al mancato rispetto della sistematica della direttiva (il non assoggettamento è ben diverso dall'esenzione per un soggetto d'imposta) la nostra norma soffre della limitazione agli enti associativi, comprendendo la prestazione esclusa a favore dei tesserati della medesima federazione sportiva. Il che ha portato l'amministrazione finanziaria (risoluzione 6 luglio 1996, n.198/E) a considerare imponibili i green fee per l'accesso ai campi da golf da parte di soggetti iscritti a federazioni estere, in palese violazione dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia per queste ipotesi. Si vedano in particolare le sentenze del 19 dicembre 2013, nella causa C-495/12 - Bridport and West Dorset Golf Club e del 7 maggio 1998, nella causa C-124/96 – infrazione Spagna.
Su questo si innesta un nuovo soggetto da collocare nelle norme Iva, la società sportiva dilettantistica (Ssd), cioè una Srl anche unipersonale (Ssd costituite nell'ambito di un istituto di istruzione privato, che non possono certamente rispettare i requisiti di democraticità di un'associazione) o una cooperativa. Vero è che l'articolo 90, comma 1, della legge 289/2002 ha esteso a questo soggetto "le disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche", con l'equiparazione riconosciuta dalla risoluzione 17 maggio 2010, n. 38/E ai fini delle imposte dirette, ma è altrettanto vero che la soggettività Iva per queste tipologie societarie è stabilita dal secondo comma dell'articolo 4 della legge Iva.
Tornando al disegno della legge di Bilancio 2021 questo intervento non è arrivato alla norma definitiva, per il timore di dover aprire una miriade di posizioni Iva per questi enti. Dimenticando peraltro che è comunque necessaria una indagine sulla natura imprenditoriale o meno del soggetto.
Il problema è ancora aperto per l'Italia ed è comunque interessante riferire il contenuto di una recente sentenza della Corte di Giustizia, pronunciata il 10 dicembre 2020 nella causa C-488/18 – Golfclub Schloss Igling. L'amministrazione fiscale tedesca aveva negato l'esenzione sui proventi del Club, in quanto il relativo statuto non prevedeva regole chiare per la devoluzione del patrimonio all'atto dello scioglimento dell'ente, un'associazione registrata. La Corte ha deciso che la nozione dell'assenza di lucro ai fini Iva è una nozione autonoma del diritto dell'Unione, in cui è essenziale il divieto di distribuzione degli utili, anche in fase di liquidazione.
Inoltre il fatto che la direttiva si riferisca a "talune" prestazioni in ambito sportivo non produce un effetto diretto nell'ordinamento nazionale che non dovesse prevedere le attività di cui si occupa l'ente. Quest'ultima precisazione, a nostro avviso non determinante per la soluzione della controversia, che si fondava solo sulla natura non profit dell'ente, è importante per il caso in cui sorgesse una lite nel nostro ordinamento per un soggetto di imposta non profit che – inutilmente – ritenesse che le norme della direttiva in commento siano self executing.
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