Il trust «inesistente» si espande ma travalica i confini di legge
Dopo le posizioni della circolare 34/E/20, in una recente risposta il Fisco ribadisce gli effetti estesi anche all’imposta su successioni e donazioni
Una massima dell’esperienza, ricorrente fra gli studenti liceali e universitari, afferma che nella maggior parte dei casi la prima risposta data è quella esatta. Questa massima – forse – avrebbe dovuto essere considerata anche dal Fisco nella vicenda del rapporto fra “trust inesistente” e imposta sulle successioni (e donazioni).
Avanti e indietro
Con la risposta 359/2022, l’Agenzia approda alla conclusione che le partecipazioni segregate in un trust ritenuto interposto ai fini delle imposte sui redditi non dovessero «essere ricomprese nell’attivo ereditario del de cuius», poiché «le partecipazioni in questioni non [sono] cadute in successione, ma [fanno] tuttora parte del patrimonio segregato nel trust e che il trustee risult[a] titolare della predetta quota di partecipazione».
Questa posizione è stata capovolta dapprima con la circolare 34/E del 20 ottobre 2022 e, quindi, con la recente risposta 176/2023 (del 31 gennaio), contraddicendo la già citata massima d’esperienza, ma, soprattutto, senza fondate giustificazioni. Nella circolare, infatti, l’Agenzia si limita ad affermare che dall’interposizione ai fini reddituali discenderebbe – “coerentemente” – che la morte del disponente produca l’imposizione ai fini successori. Più esplicita è la risposta 176/2023 che rinvia alla figura del “trust inesistente” coniata dalla circolare 61/E/2010 per giustificare il sorgere del debito tributario all’atto della morte del disponente.
Tuttavia, questo effetto “a catena” descritto dall’Agenzia è limitato a casi del tutto straordinari, quando per la legge (e per il diritto) applicabili all’atto istitutivo quest’ultimo non ha prodotto un trust, ovvero non ha prodotto un rapporto giuridico ascrivibile alla fattispecie legale del trust (situazioni di trust sham). In termini generali, ciò si realizza quando il disponente mantiene l’effettivo controllo di fatto sui beni e sui diritti devoluti in fondo trust, non realizzandosi alcuno spossessamento degli stessi.
Gli esempi fuori fuoco
È evidente che il concetto di trust sham non coincide con quello di “trust inesistente” elaborato dall’agenzia delle Entrate: il primo comprendente un numero di situazioni decisamente più ridotto del secondo. Se si considerano gli esempi di “trust inesistente” elencati dall’Agenzia nella circolare 61/E/10, si nota infatti che vi è una certa distanza fra questi ultimi e quelle situazioni ove il disponente mantiene l’effettivo controllo di fatto sui beni e sui diritti devoluti in trust (a mero titolo d’esempio, è difficile ritenere un trust sham solo per il fatto che il disponente possa anche minimamente condizionare il potere del trustee).
Se questa lettura è corretta, l’agenzia delle Entrate ritiene che atti istitutivi di trust che producano l’effetto tipico, ossia la segregazione dei beni e diritti, possano comunque essere qualificati come interposti (o inesistenti) ai fini della determinazione delle imposte sui redditi. Tuttavia, per giungere a questo risultato, l’Agenzia deve ricorrere all’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/73, che attribuisce agli uffici il potere di accertare l’effettivo possessore del reddito, superando l’apparenza formale della mera titolarità giuridica della fonte produttiva. Ancor più chiaramente, in queste situazioni l’atto istitutivo del trust produce la segregazione dei beni e dei diritti sul piano giuridico, ma la disponibilità del reddito continua a essere imputabile al disponente (o al beneficiario).
I fini successori
La (superflua) categoria dell’inesistenza del trust creata dalle Entrate trova fondamento nell’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/73, il quale, tuttavia, non estende i propri effetti anche all’imposta sulle successioni e sulle donazioni ma che, in ragione della collocazione normativa e della formulazione, è ristretto solo alle imposte sui redditi. Quindi, ritenere che il “trust inesistente” sia interposto anche ai fini successori, come emerge dagli ultimi documenti di prassi dell’Agenzia, significa travalicare i confini propri della legalità dell’azione amministrativa in materia tributaria e creare un potere che non trova fondamento nella legge.