Pensione anticipata, gli adeguamenti restano congelati fino al 2026
Il decreto di riforma del welfare non si occupa solo di introdurre nuovi accessi a pensione, ma modifica in modo strutturale uno dei due accessi principali disegnati dalla riforma Monti-Fornero, vale a dire la pensione anticipata.
Questa forma di pensionamento, nata sulla scia della vecchia pensione di anzianità contributiva acquisibile al raggiungimento di 40 anni di contributi per uomini e donne, era infatti sottoposta agli adeguamenti a speranza di vita disciplinati dalla legge 122/2010 che, a seguito della stessa riforma Fornero, avevano acquistato una cadenza biennale a partire dal 2019, rispetto all’originario adeguamento triennale stabilito dalla normativa originaria. Il requisito contributivo si era inoltre differenziato fra lavoratori e lavoratrici, mantenendo in modo strutturale una distanza, a favore delle donne, di un anno di contributi.
Al 31 dicembre del 2018 il requisito era, quindi, pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne, di cui almeno 35 anni di contribuzione effettiva per effetto di norme ordinamentali precedenti mai abrogate (in particolare la legge 153/1969). Nel biennio 2019-2020, l’adeguamento a speranza di vita confermato da Inps e pari a cinque mesi doveva essere applicato alle forme di pensionamento di vecchiaia e alla pensione anticipata.
Il decreto interviene, invece, sul testo della riforma Fornero, cristallizzando fino al 2026 il contributo vigente nel 2018 e abrogando anche i futuri adeguamenti a speranza di vita da consolidare a partire dal 2021 fino al 2026 incluso. Senza questo intervento di blocco della speranza di vita, le previsioni del Mef indicavano un aumento dei requisiti contributivi fino a 43 anni e 9 mesi di contributi per gli uomini, 42 anni e 9 mesi per le donne. Gli assicurati verseranno, per accedere a pensione anticipata, nel 2026 fino a 11 mesi in meno rispetto alla previsione di incremento dei requisiti.
Il decreto introduce, tuttavia, per questa forma di pensionamento una finestra di differimento mobile che comporta l’allontanamento della decorrenza della pensione anticipata di tre mesi dalla maturazione dei requisiti contributivi. Questa finestra decorre dal momento del raggiungimento dei 42 o 41 anni e 10 mesi e non inibisce al lavoratore di continuare a lavorare nel periodo di attesa; la finestra, a differenza di Quota 100, è identica per lavoratori subordinati del settore privato e pubblico (che invece attendono sei mesi per accedere a Quota 100 da quando ne maturano i requisiti).
Il testo della norma di riforma pensionistica fornisce inoltre una disposizione transitoria, stabilendo che coloro che matureranno i requisiti contributivi entro la data di entrata in vigore del decreto accederanno a pensione a partire da aprile di quest’anno. Nel caso del personale scolastico, il decreto fa salve le disposizioni che comportano il differimento dell’accesso a pensione all’inizio dell’anno scolastico, ma consente per il solo 2019 di presentare la domanda di cessazione dal servizio fino al prossimo 28 febbraio, derogando rispetto alla scadenza già fissata per lo scorso dicembre.
Va, inoltre, considerato come nel 2019 il vantaggio non sia, al netto della finestra, di soli due mesi di anticipo: rispetto alla maggiorazione neutralizzata di altri 5 mesi di contributi, la finestra trimestrale infatti modera l’anticipo dell’accesso a pensione, ma non obbliga comunque gli assicurati a versare i contributi nel periodo di attesa dell’assegno. Specialmente per chi era rimasto privo di lavoro e contribuzione e si rivolgeva allo strumento oneroso dei contributi volontari per arrivare a 43 anni e 3 mesi, tale differenza si rivela decisiva.