Professione

Per abbattere i costi servono nuove figure professionali

di Vincenzo De Sensi

La distribuzione dei sacrifici e delle perdite nelle crisi aziendali è una questione spinosa e controversa. Trovare la soluzione ideale non è semplice: alle volte per la complessità delle vicende, altre volte per la mancanza di tempestività nella soluzione approntata. Sono note le dispute intorno al concordato preventivo, al suo funzionamento e alle prospettive (a volte irrisorie) di soddisfacimento dei creditori, in particolare per quelli privi di garanzie. Critiche che hanno indotto il legislatore a intervenire più volte su diversi profili. Tra i tanti, con la previsione che la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dei creditori chirografari, tranne il caso in cui il concordato sia volto a garantire la continuità aziendale. O ancora con importanti integrazioni di disciplina per il cosiddetto concordato con riserva prevedendo stringenti obblighi informativi in capo al debitore e a vantaggio dei creditori.

Orbene, appare inutile soffermarsi su ciò che non va o su ciò che di buono comunque è stato già fatto. Proviamo piuttosto a pensare a come ulteriormente migliorare la normativa, ma soprattutto a come creare un sistema favorevole a soluzioni efficienti. In sintesi, si possono offrire alcuni spunti.

Sul piano normativo, un aspetto sul quale si sta riflettendo è quello dell’opportunità di reinserire nel concordato preventivo il voto per teste oltre a quello per credito. Il sistema di voto basato solo sull’ammontare dei crediti ha emarginato i creditori più deboli togliendo loro potere negoziale. Il punto non è tanto quello di assicurare una certa percentuale ai chirografari o di rispettare la par condicio; quanto piuttosto di ampliare il più possibile la base del potere negoziale dei creditori per spingere il debitore a presentare proposte con ampi margini di convenienza. E questo potenziamento o allargamento della negozialità andrebbe ancora di più oggi incoraggiato visto che l’impresa in crisi è contendibile attraverso l’intervento di altre proposte di concordato, chiamate appunto concorrenti.

Un secondo aspetto è quello di migliorare e modernizzare il sistema di garanzia del credito. La previsione nella cosiddetta riforma Rordorf della garanzia non possessoria ovvero di quella garanzia che ha per oggetto non una res ma il valore economico di determinati beni, è di certo funzionale a un miglioramento delle forme di garanzia del credito, soprattutto quando questo è legato alla produttività e alla continuità aziendale. Questa forma più sofisticata di garanzia farebbe il paio con il potenziamento del concordato in continuità, andando a valorizzare quelle posizioni creditorie più direttamente coinvolte nel sostegno della produttività. Si potrebbe quindi in questo modo generare un meccanismo virtuoso a vantaggio dell’intero ceto creditorio: adeguate forme di garanzia sostengono la produttività e questa a sua volta va a vantaggio di tutti.

Sul versante di sistema le riflessioni sono più difficili e si scontrano con la nostra tendenza a non sperimentare strade nuove. Un aspetto su cui puntare è di certo quello della precoce emersione della crisi: che però vuol dire cambiare la mentalità di approccio a questo tema. La crisi è manifestazione del rischio imprenditoriale e come tale va affrontata. Quindi non solo attraverso le procedure, ma soprattutto attraverso politiche di governance che, basate sul criterio della responsabilità e della adeguatezza organizzativa, spingano il management a intervenire per tempo. Questo sistema dovrebbe anche selezionare manager virtuosi prevedendo, ad esempio, per le grandi realtà aziendali forme di garanzia assicurativa obbligatoria. Per cui laddove la perdita di buona fama manageriale sia conclamata non ci sarà più nessuna compagnia disposta a rilasciare la relativa garanzia, determinando così la fuoriuscita dal mercato di manager che più che distribuire ricchezza hanno distribuito perdite.

Già questa prima considerazione ci dice che occorre andare oltre il dato normativo per gettare le basi di un sistema economico sensibile alla gestione delle crisi. Questo comporta favorire il radicamento di prassi gestionali virtuose, ma anche e in particolar modo la diffusione di operatori economici specializzati in questo settore sia sul versante gestionale che su quello finanziario. La diffusione e l’ampliamento di questi operatori professionali (chief restructuring officer, fondi di turnaround, private equity etc.) consentirebbero anche il tendenziale abbassamento dei costi economici e di gestione della crisi che evidentemente sono tanto più alti quanto più è intempestivo l’intervento.

Il panorama su cui intervenire è vasto e il periodo di profonda difficoltà economica che abbiamo vissuto ci dice che le crisi aziendali sono e saranno parte degli accadimenti ordinari in economie super capitalistiche. Creare un sistema normativo e di mercato è quindi una priorità sulla quale continuare a lavorare.

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