Controlli e liti

Prerogative diverse dal collegio sindacale

Non condivisibile fondare la colpa sull’omessa vigilanza dell’Odv

di Riccardo Borsari

Pare fuori luogo richiedere all’organismo di vigilanza di dovere seguire con apprensione la «vorticosa spirale degli eventi»: è ben certo che l’organismo non deve rimanere inerte o pigro, ma deve al contrario attivarsi in maniera vigile e tempestiva, ma l’assenza dei poteri e la natura di controllo di terzo livello della sua attività non possono non conferire a tutte le iniziative una determinata coloritura e significato che stride in maniera incolmabile con l’affermazione di certo impedimento del reato.

Non fu un caso che la celebre sentenza Impregilo (Cassazione 4677/2014) riscosse molte critiche tra l’altro proprio con riferimento all’organismo di vigilanza il quale, per risultare dotato di adeguati ed effettivi poteri di controllo, veniva al fine idealmente tratteggiato come dotato di prerogative in sostanza di co-decisione su determinati processi sensibili, con funzioni di controllo della legalità degli atti di gestione e di tutela pure di interessi esterni alla società.

Non si tratta di «privare di senso» o ingiustamente dequalificare il ruolo dell’organismo e, per traslato, dell’intero sistema 231; tutt’al contrario: ove, infatti, non si fosse attenti a sagomare in maniera corretta la figura dell’organismo e a tenere sempre presente la specificità del rischio, anche reputazionale, implicato, esso finirebbe con il sovrapporsi indistintamente ad altre funzioni di controllo, così sorreggendo l’idea di una inutile duplicazione. In questo senso andrebbero invece ripensate quelle interpretazioni – si pensi ad esempio alle indicazioni di Banca d’Italia – che propugnano la coincidenza dell’organismo con il collegio sindacale.

Si tratta per un verso di entità distinte, chiamate a vigilare su ambiti differenti, ancorché a tratti intersecantisi; per l’altro, alla luce della crescente complessità, anche sovranazionale, del contesto, il corretto esercizio delle rispettive prerogative consentirà di convergere e cooperare anzitutto verso quell’adeguato assetto organizzativo che si pone come una sorta di prerequisito non più prescindibile. L’organismo di vigilanza, in particolare, non può non porsi al centro, in chiave propulsiva, di quel processo di autovalutazione che può, e deve, condurre l’impresa all’autorganizzazione quale premessa ed esito assieme di un virtuoso processo di gestione del rischio complessivamente inteso.

Anche alla luce di queste considerazioni appare da ultimo poco condivisibile l’affermazione alla stregua della quale sarebbe l’omessa vigilanza da parte dell’organismo a fondare la colpa di organizzazione: essa è in realtà concetto ben più ampio, composto da una pluralità complessa di elementi e non può essere ridotta, pena ancora una volta lo snaturamento dell’organismo stesso e del sistema 231 nella sua unità, a una sua pur rilevante parte.

Una considerazione finale. Emerge con chiarezza come sia più che mai necessario, a vent’anni dall’entrata in vigore, continuare a riflettere a fondo sui caratteristrutturali dell’illecito punitivo ascritto all’ente così come, in termini generali, sul tema, classico in ambito corporate governance, del controllo e dei controlli, rispetto al quale sembra giunta l’ora di un ripensamento sistematico.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©