Professione

Professionisti, sulle spese di vitto e alloggio una modifica da completare

di Gianfranco Ferranti

La legge sulla tutela del lavoro autonomo approvata in via definitiva dal Senato contiene delle importanti modifiche della disciplina delle spese di vitto e alloggio e di formazione degli esercenti arti e professioni. Altri interventi normativi sono, però, necessari, al fine di disciplinare i criteri di determinazione del reddito di lavoro autonomo con la stessa analiticità e completezza riscontrabili nel reddito d’impresa, operando, ove necessario, precisi rinvii alle disposizioni riguardanti quest’ultima categoria reddituale.
Dovrebbe essere, innanzitutto, evitato di legiferare in modo occasionale e non sistematico, come avvenuto per le prestazioni di viaggio e di trasporto sostenute direttamente dal committente, per le quali il Dl 193 del 2016 ha stabilito, con effetto dal 2017, che non costituiscono compensi in natura per il professionista e non sono deducibili dallo stesso in sede di dichiarazione dei redditi (a partire da quella da presentare nel 2018).
La legge in esame è adesso nuovamente intervenuta in materia, prevedendo che, sempre con effetto dal 2017, «tutte le spese relative all’esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista». Quest’ultimo intervento normativo appare senz’altro preferibile - in quanto il principio è stato correttamente applicato a tutte le spese e non soltanto a quelle di viaggio e trasporto - e si sarebbe dovuto adottare sin dall’inizio.

I rimborsi spese
L’articolo 8 della legge ha, inoltre, effettuato un ulteriore passo in avanti, prevedendo che i limiti stabiliti per la deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande – 75% del relativo importo e 2% dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta – non si applicano se le stesse sono sostenute dall’artista o professionista per l’esecuzione dell’incarico professionale e «addebitate analiticamente in capo al committente».
Si ricorda che i rimborsi delle spese sostenute dagli esercenti arti e professioni per lo svolgimento della prestazione d’opera sono stati costantemente assimilati dalla prassi dell’amministrazione finanziaria ai compensi, con conseguente obbligo di fatturazione e assoggettamento a ritenuta. Sarebbe opportuno superare tale orientamento, stabilendo normativamente - in via generale - l’indeducibilità delle spese destinate a essere rimborsate dal cliente anziché il loro concorso alla formazione del reddito alla stregua dei compensi.
Le limitazioni alla deducibilità sono state introdotte per “forfettizzare” l’inerenza di spese che potrebbero essere sostenute per finalità personali e familiari anziché professionali.

Quando, però, le stesse sono analiticamente “riaddebitate” al cliente, il contrasto d’interessi tra quest’ultimo ed il professionista dovrebbe evitare possibili abusi, a differenza di quanto si potrebbe, invece, verificare per le analoghe spese dedotte ma non richieste a rimborso. In tali casi non si pone, peraltro, il problema di rimediare alla “sfasatura temporale” esistente tra l’anno in cui sono deducibili, per cassa, le spese sostenute e quello in cui avviene il rimborso, essendo certo sin dall’origine il diritto ad ottenere quest’ultimo in base al rapporto contrattuale, il che rende indeducibili ab origine le dette spese. Qualora risulti eventualmente accertato, anche a seguito dell’intrapresa delle relative azioni legali, che il cliente non abbia provveduto al menzionato rimborso, le spese sostenute potrebbero essere recuperate con la presentazione di una dichiarazione integrativa “a favore”.

Nella legge non è stata, però, integralmente seguita tale indicazione ma si è inteso soltanto evitare che le spese di vitto e alloggio, pur concorrendo integralmente alla formazione del reddito di lavoro autonomo quali compensi, risultino poi parzialmente deducibili, dovendosi applicare i limiti del 75 per cento del relativo importo e del 2 per cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta. Tali limiti saranno, infatti, disapplicati a decorrere dal 2017 ma l’importo delle spese continua a dover essere indicato in fattura quale compenso e assoggettato alla ritenuta d’acconto, all’Irap e ai contributi previdenziali.

Gli altri interventi mancanti
Non sono state, inoltre, ancora recepite le altre proposte relative alla determinazione del reddito di lavoro autonomo formulate dal Cndcec (da ultimo nel documento del 1° settembre 2015 recante le «Prime proposte per la legge di stabilità 2016»).
Tali proposte sono finalizzate, innanzitutto, a stabilire che in caso di eliminazione dei beni strumentali «il costo residuo (non ammortizzato) possa essere considerato in deduzione in un unico esercizio. Se la spesa è inerente, quindi se il bene è stato effettivamente utilizzato nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, sussistono tutte le condizioni per considerare in deduzione dal reddito professionale il costo residuo non ammortizzato del bene eliminato».

È stato poi chiesto di elevare da 516 euro «a 1.000/1.500 euro il limite stabilito per la deducibilità in un’unica soluzione del costo di acquisto dei beni ammortizzabili» ed eliminare l’obbligo di indicazione di tali beni nell’apposito registro, sostituendolo con quello di esibizione, in sede di verifica, di un apposito prospetto di dettaglio.

È stato, infine, proposto di rivedere e semplificare i criteri di deducibilità delle spese di manutenzione e ristrutturazione degli immobili, in quanto la formulazione normativa attualmente in vigore penalizza, tra l’altro, i giovani che intendono iniziare un’attività di lavoro autonomo, essendo il plafond iniziale pari a zero. Il Consiglio nazionale ha, al riguardo, richiesto di modificare la disciplina vigente «prevedendo che nell’esercizio di inizio dell’attività il limite del 5 per cento sia elevato al 50 per cento ed il costo complessivo dei beni materiali ammortizzabili sia riferito al termine dell’esercizio». Dovrebbe essere, altresì, ripristinato «il previgente criterio di deducibilità delle spese di manutenzione e ristrutturazione aventi natura straordinaria, in quote costanti, nell’esercizio di sostenimento e nei quattro esercizi successivi». Tale criterio dovrebbe applicarsi anche per gli immobili acquistati a partire dal 2010, al fine di superare le incertezze derivanti dall’imprecisione dell’attuale dato normativo.

Il Ddl autonomi approvato definitivamente dal Senato

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