Imposte

Prelievo Ocse sui big da delimitare meglio

di Giuliano Foglia e Marco Poziello

Mentre l’Italia insiste nel (ri)proporre una soluzione unilaterale di «imposta sui servizi digitali» – la web tax attualmente contenuta all'articolo 84 del disegno di legge di Bilancio 2020 (As 1586, oggi all’esame del Senato) – l’Ocse prosegue i propri lavori, proponendo una soluzione con “approccio unificato” per una tassazione comune su base internazionale della digital economy.

Lo scorso 9 ottobre l’organizzazione ha rilasciato un nuovo documento di consultazione, («Secretariat proposal for a “Unified Approach” under Pillar One»), contenente una proposta di tassazione unificata tra gli Stati aderenti, che è stata oggetto prima di osservazioni scritte da parte delle parti interessate e poi di discussione nel Public meeting organizzato giovedì e venerdì scorso a Parigi presso la sede dell'Ocse, al quale hanno partecipato alcuni principali stakeholders.

In tale contesto, i giganti del web (ma non solo) – al fine di valutare i futuri eventuali impatti fiscali sui loro business – stanno monitorando con occhio attento gli sviluppi dei lavori Ocse in materia, che nell'ultimo periodo hanno subito un importante accelerazione, con l'obiettivo di arrivare a una soluzione condivisa tra i paesi che hanno aderito al progetto Beps (“Base Erosion and Profit Shifting”) entro il 2020.

L'approccio unificato elaborato nel documento di consultazione si propone di introdurre nuovi presupposti impositivi e meccanismi di tassazione, che per taluni aspetti prescindono (espressamente) dalle attuali regole in materia di transfer pricing (si veda anche Il Sole 24 Ore del 4 novembre scorso).

In estrema sintesi, la proposta formulata in sede Ocse mira ad introdurre:

una nuova tipologia di tassazione che potrebbe essere rivolta ai business altamente digitalizzati e più in generale ai soggetti che si rivolgono ai consumatori finali (“large consumer-facing business”), che superano una determinata soglia di fatturato complessivo (e.g. i 750 milioni già previsti per il Country by Country reporting), con la possibile esclusione (“carve-out”) di determinate categorie di business (si ipotizza ad esempio l'esclusione dell'industria estrattiva e di quella finanziaria);

un nuovo presupposto impositivo basato non sulla presenza fisica ma principalmente sulle vendite nei diversi mercati;

nuove regole di allocazione dei profitti tra gli Stati che prescindono dalla presenza nei Paesi di riferimento (ad esempio tramite stabile organizzazione o società controllata);

un maggior grado di certezza a beneficio di amministrazioni e contribuenti, mediante l'implementazione di un meccanismo di tassazione a tre livelli (“three tier mechanism”).

Nel dettaglio, il suddetto meccanismo a tre livelli prevedrebbe:

- in prima battuta, un nuovo criterio di collegamento che mira a allocare tra le giurisdizioni interessate, sulla base delle vendite (i.e. a prescindere dal luogo di residenza o localizzazione del business), una porzione degli “extra-profitti” di un gruppo multinazionale considerati come “non routinari” (i.e. che eccedono la normale remunerazione prevista per le funzioni “base”). Tali extra-profitti (cd. “Amount A”), seguendo un approccio semplificato, potrebbero essere determinati partendo dai dati contenuti nel bilancio consolidato di gruppo e secondo formule prestabilite (a prescindere dalle attuali regole sul transfer pricing);

- in secondo luogo, l'individuazione e la tassazione dei profitti “routinari” attribuibili alle giurisdizioni nelle quali sono effettivamente svolte attività di base quali quelle di “distribuzione” e “marketing” (cd. “Amount B”). A tal proposito, nel documento di consultazione, viene paventata la possibilità di prevedere formule di calcolo della remunerazione predeterminate (“fixed remunerations”, differenziate sulla base del business model di riferimento), per ragioni di semplificazione ed anche al fine di evitare i contrasti che attualmente si verificano tra amministrazioni e contribuenti sulla corretta determinazione dei profitti;

in terzo luogo, la possibilità, per le giurisdizioni nelle quali vengono svolte le attività di distribuzione e marketing, di tassare – sulla base delle attuali regole sul transfer pricing – un'ulteriore porzione di profitto in ragione delle eventuali maggiori funzioni (“extra functions”) svolte nei Paesi in questione (cd. “Amount C”).

Tanto premesso, l’approccio elaborato in sede Ocse – così come attualmente formulato e oggetto di discussione dei recenti incontri– pare presentare ancora diverse imperfezioni e lacune che, nonostante gli ambiziosi obiettivi di certezza alla base della riforma, rischiano di provocare incertezze e discriminazioni con riferimento all'ambito soggettivo di applicazione, nonché situazioni di doppia imposizione nell'implementazione pratica del meccanismo.

Allo stato, infatti, non risulta perfettamente chiaro l'ambito soggettivo di applicazione, né tanto meno le ragioni sottese alle esclusioni di determinate categorie di contribuenti, con possibili effetti distorsivi del mercato. Effetti distorsivi che andrebbero valutati anche in base alla scelta di “predeterminare” le remunerazioni delle funzioni routinarie sulla base dei diversi settori di riferimento e senza un'analisi caso per caso.

D’altro canto, sotto il profilo applicativo, pur essendo prevista la possibilità di introdurre specifici (ed obbligatori) meccanismi di risoluzione delle controversie, l’attuale metodologia di tassazione a tre livelli rischia seriamente di colpire più volte i medesimi valori: ad esempio, come l'Amount A sottopone a tassazione l'extra-profitto eccedente il profitto “base” per le attività routinarie svolte, allo stesso modo l'Amount C sottopone a tassazione il maggior reddito derivante dalle “extra-funzioni” svolte dalle società che effettuano distribuzione e marketing.

Ancora, la scelta di “pescare” tra i profitti contenuti nel bilancio consolidato ai fini della determinazione degli extra-profitti, rischia di attrarre nell’ambito impositivo della proposta anche proventi non derivanti dalla digital economy, ma eventualmente attribuibili a diversi intangibili estranei alla stessa, con evidenti conseguenze di doppia imposizione, tenuto anche conto della parallela applicazione delle ordinarie regole sul transfer pricing.
In tal senso, il mancato (o comunque non efficace) coordinamento tra il nuovo meccanismo di tassazione e le vigenti regole sul transfer pricing (ed in particolare con i principi Dempe contenuti nel Chapter VI delle TP Guidelines, sviluppati tra l’altro proprio nell'ambito del progetto Beps), accentuerebbe tale rischio di doppia imposizione.

Infine, non bisogna dimenticare come, in ragione delle iniziative unilaterali già poste in essere (o comunque in corso di implementazione) da parte di diversi Stati (tra cui l’Italia), si renderanno necessari accurati lavori di implementazione negli ordinamenti domestici, con evidenti effetti distorsivi in caso di implementazione non contestuale da parte di tutti gli Stati. Pertanto, non resta che attendere i prossimi sviluppi della proposta, anche ad esito di quanto discusso durante gli ultimi incontri ufficiali sul tema.

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