Professione

Polizze claims made al test di adeguatezza

<span class="argomento">Perché le clausole siano valide occorre rispettare le esigenze di copertura degli assicurati e gli obblighi di buona fede e di informazione </span>

di Maurizio Hazan e Filippo Martini

Nelle polizze della responsabilità professionale le parti possono, nell’ambito della loro autonomia negoziale, prevedere l’inserimento di clausole “claims made”, in cui cioè l’operatività della garanzia è correlata non al fatto che genera la responsabilità ma alla richiesta di risarcimento presentata dal danneggiato. Occorre però sempre rispettare i principi di adeguatezza del contratto alle esigenze di copertura degli assicurati, oltre che gli obblighi di buona fede e correttezza nella fase di collocamento del prodotto assicurativo. Se poi la clausola “claims made” viene ritenuta nulla in giudizio, va sostituita, se esistono, con norme imperative che l’ordinamento pone a tutela del contraente.

Sono le indicazioni che emergono dalle pronunce dei giudici, che si sono occupati a più riprese della validità delle clausole claims made, peraltro ormai stabilmente integrate nei contratti di assicurazione della Rc, obbligatori per i professionisti. Si tratta di clausole che in alcuni casi sono puntualmente disciplinate dal legislatore (come per le polizze della responsabilità sanitaria), in altri rimesse alla libertà negoziale delle parti, che possono, ad esempio, estendere o restringere il periodo di efficacia temporale della garanzia, con conseguenti ricadute sul prezzo di polizza.

È in questi casi che, secondo la sentenza 22437/2018 della Cassazione a Sezioni unite, occorre valutare se il contenuto della clausola sia lecito e rispetti gli interessi concretamente perseguiti dalle parti.

Ma cosa accade se viene rilevata la nullità della clausola? La Cassazione l’ha chiarito, da ultimo, con la sentenza 9616 dell’11 marzo scorso. La vicenda riguardava la ritenuta nullità di una clausola “claims made” che regolava il regime temporale di una polizza contratta da un commercialista, limitando la copertura alle richieste danni pervenute al professionista per fatti compiuti nei soli due anni precedenti la stipula della polizza. Il giudice di merito, tenuto conto delle caratteristiche dei sinistri tipici della responsabilità professionale (che possono dar luogo a richieste risarcitorie anche a distanza di svariati anni dalla commissione dell’errore) ha ritenuto il limite biennale poco garantista per l’assicurato e, dunque, inadeguato allo scopo pratico del contratto. Ha dunque dichiarato la nullità parziale della polizza e sostituito il regime temporale con una retroattività decennale, corrispondente alla prescrizione del diritto del terzo al risarcimento del danno.

La soluzione non convince la Cassazione, a cui propone ricorso la compagnia assicurativa. I giudici di legittimità ricordano anzitutto che la libertà negoziale delle parti non è assoluta e illimitata ma deve essere esercitata nei limiti della buona fede e della conformità ai principi del nostro ordinamento giuridico (articolo 1322 Codice civile). Così, nel dar vita a una polizza assicurativa che garantisca la responsabilità civile professionale, occorre rispettare le regole di efficacia del contratto, anche sotto il profilo della sua causa in concreto, offrendo all’assicurato una protezione assicurativa congrua e coerente con la natura della professione svolta, la peculiarità dei termini di prescrizione della relativa responsabilità e le finalità di tutela dettate dall’ordinamento a presidio dei diritti dei clienti danneggiati.

Si tratta di principi che non possono essere sacrificati sull’altare dell’autonomia contrattuale, che non può spingersi sino a confezionare contratti privi di un “adeguato” contenuto di copertura.

Né, ribadisce la Corte, il mancato rispetto di tali principi nella regolazione del contratto con clausola “claims made” potrebbe essere superato con il mero adempimento, da parte dell’assicuratore, degli obblighi informativi che pure sono posti a suo carico.

Ciò posto, la Cassazione accoglie comunque il ricorso, criticando la decisione del giudice di merito nella parte in cui, dopo aver dichiarato la nullità parziale del contratto, ha applicato il meccanismo di “sostituzione” automatica (articolo 1419, comma 2, Codice civile), che però opera solo se esistono norme imperative, mentre tale non è la norma che regola la prescrizione del diritto risarcitorio. In questo caso, dunque, il giudice non avrebbe dovuto ristrutturare il contratto di sua iniziativa, ma valutare se il contratto potesse sopravvivere senza la clausola nulla o se, invece, dovesse essere travolto dalla nullità.

LE INDICAZIONI DEI GIUDICI

I limiti
Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis” è riconducibile al tipo dell'assicurazione contro i danni, soggetto alla verifica della rispondenza ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l'ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. L'indagine riguarda la causa concreta del contratto, investendo anche la fase precontrattuale e quella dell'attuazione del rapporto.
Cassazione, sentenza 12981 del 26 aprile 2022

La domanda della vittima
Non è nulla la clausola claims made che fa dipendere la copertura assicurativa alla domanda del terzo danneggiato entro un termine predefinito, poiché l'atteggiarsi della richiesta del terzo, quale evento futuro, imprevisto e imprevedibile è coerente con la struttura propria del contratto di assicurazione contro i danni in cui l'operatività della copertura deve dipendere da fatto non dell'assicurato.
Cassazione, sentenza 12908 del 22 aprile 2022

La trasformazione
Il giudice che rilevi la nullità della clausola “claims made”, poiché squilibrata in favore dell'assicuratore, non può trasformarla nella clausola tradizionale “loss occurence”. Il giudice deve invece integrare il contratto ricostruendo l'effettiva volontà delle parti nel realizzare un equilibrio fra elementi differenti quali durata del contratto, calcolo del premio, sinistrosità pregressa, altre coperture.
Cassazione, ordinanza 5259 del 25 febbraio 2021

La validità temporale
Con riguardo alle coperture assicurative sanitarie per le aziende ospedaliere (articolo 11 della legge 24/2017) deve ritenersi obbligatoria la previsione di una retroattività decennale ma non quella di una ultrattività (o postuma) alla cessazione del contratto assicurativo.
Corte d'appello di Campobasso, sentenza 188 del 17 aprile 2023

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