Imposte

Cripto-attività affrancate dal 1° gennaio versando un’imposta del 14%

Con la legge di Bilancio arriva una disciplina finalmente organica delle criptovalute

di Edoardo Belli Contarini

Con la bozza della legge di bilancio 2023, il legislatore colma finalmente il vuoto normativo in materia di criptovalute, ovvero delle “cripto-attività”; la nuova e più organica disciplina concerne il trattamento degli asset digitali sotto diversi profili, l’irpef, l’applicazione della relativa imposta sostitutiva anche da parte degli operatori non finanziari, l’imposta di bollo, l’ivafe e il monitoraggio fiscale. Vengono previsti, altresì, l’affrancamento delle cripto-attività, con riferimento al “valore normale” alla data del 1° gennaio 2023, previo pagamento di un’imposta sostitutiva del 14% e una “regolarizzazione” della posizione dei contribuenti per i periodi di imposta pregressi (articoli 30-34).

Ma andiamo per gradi. Per i soggetti passivi irpef l’articolo 30 inserisce un’altra e autonoma categoria di redditi diversi, aggiungendo, dopo la lettera c-quinquies) dell’articolo 67 del Tuir, di chiusura delle fattispecie imponibili precedenti, la lettera c-sexies), nella quale vengono incluse le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso, permuta, rimborso o detenzione delle cripto-attività, superiori a 2mila euro in ciascun periodo di imposta.

Viene quindi stabilita espressamente la rilevanza impositiva di tali redditi, diversamente dall’approccio dell’Agenzia, che, dalla risoluzione 72/E del 2016, li riconduce “a forza” tra i proventi realizzati mediante le cessioni di valute estere ex articolo 67, comma 1-ter. Verosimilmente, il legislatore ha preso atto della definizione legale della valuta digitale (articolo 1 del Dlgs 231/2007 e articolo 1 del Dlgs 184/2021), in base alla quale le valute in blockchain non sono assimilabili alle monete cosiddette fiat, cioè aventi corso legale, valore liberatorio ex lege, in quanto emesse o garantite da un Banca centrale o da uno Stato.

Dunque, l’intervento normativo di ampio respiro, nonostante talune criticità – emendabili in sede di approvazione definitiva, come la rilevanza reddituale della mera “detenzione” degli asset digitali e la franchigia stabilita in 2mila euro - disvela l’intento di congegnare ex novo uno specifico regime tributario dei guadagni da criptovalute, con effetti ex nunc, cioè con tassazione dei proventi percepiti dal 2023. Tale assunto sembra però smentito dall’articolo 33, ove si contempla una speciale procedura di “regolarizzazione” che consente ai contribuenti di sanare gli inadempimenti (che risulterebbero) consumati fino al 31 dicembre 2021; a tal fine è necessario presentare una dichiarazione integrativa e assolvere un’imposta sostitutiva dei redditi realizzati in passato, corrispondente al 3,5% del “valore” delle attività emerse, nonché una sanzione ridotta allo 0,5% per l’omessa indicazione delle cripto-attività nel quadro RW.

Sembra così parzialmente recepito l’orientamento invalso nella prassi di reputare comunque rilevanti i proventi da criptovalute, nonostante il silentio legis in materia, bypassato con l’equiparazione alle valute estere tradizionali. Ma in virtù dei principi di tassatività e di irretroattività della legge tributaria – da cui pure il cosiddetto “numero chiuso” dei redditi in base agli articoli 1, 6 e 67 del Tuir – e considerato che le cripto-attività rappresentano asset digitali radicalmente diversi dalle monete, tantomeno estere, il prelievo non potrebbe retroagire. L’imponibilità (sopravvenuta e con diversa metodologia) dei proventi da cripto-attività non potrebbe scattare ex tunc, ma solo in seguito dell’entrata in vigore della legge di bilancio.

In tale prospettiva, non si spiega la facoltà concessa ai contribuenti di “regolarizzare” la propria posizione per il passato, i quali, anzi, in alcuni casi, sono ricorsi al rimedio del cosiddetto “solve et repete” soltanto per motivi di prudenza. Va aggiunto che la dichiarazione integrativa di emersione degli asset digitali, da presentare per i periodi di imposta aperti, vale solo ai fini dell’irpef e del monitoraggio fiscale, non risultando sanate le eventuali ipotesi di dichiarazione infedele ex articolo 4 del Dlgs 74/2000, in ragione delle plusvalenze cospicue realizzate a suo tempo. Soprattutto, resta ferma in capo al contribuente «la dimostrazione della liceità della provenienza delle somme investite», con un ulteriore effetto boomerang, salvo rettifica in corso d’opera.

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