Compensazioni Iva, resta il «tetto» dei 700mila euro
Il
Il rinvio
Il limite italiano alle compensazioni del credito Iva in F24, previsto in 700mila euro annui (comprendendo tutte le compensazioni anche per crediti fiscali diversi) dall’articolo 34 della legge 388/2000, finisce davanti alla Corte di giustizia Ue. La vicenda riguarda una società piemontese che vantava un credito Iva per il 2013 di oltre 1,7 milioni di euro, la quale lo utilizzò in compensazione splafonando rispetto al tetto di legge. L’agenzia delle Entrate sanzionò la compensazione indebita applicando la sanzione per omesso versamento pari al 30% dell’eccedenza oltre i 700mila euro. La Commissione tributaria provinciale di Torino, a cui il contribuente si era rivolto per impugnare la sanzione irrogata, ha sottoposto una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte Ue riguardante la compatibilità della citata norma italiana sul tetto alle compensazioni con l’articolo 183, comma 1, della direttiva 2006/112/Ce che prevede la possibilità per i contribuenti di compensare o vedersi rimborsata l’eccedenza delle detrazioni Iva rispetto all’imposta dovuta.
Contrasto all’evasione
La Corte del Lussemburgo sottolinea preliminarmente che la libertà di cui dispongono gli Stati membri nello stabilire modalità di rimborso di un’eccedenza di Iva non comporta che dette modalità siano dispensate da ogni controllo con riferimento alle norme comunitarie. Tali modalità non possono cioè ledere il principio di neutralità fiscale, e dunque devono consentire al contribuente di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito.
Secondo l’Amministrazione italiana, il tetto alle compensazioni si giustifica come strumento per contrastare l’evasione fiscale posto che il versamento in compensazione può facilmente prestarsi a pratiche evasive, non essendo prevista l’allegazione di documenti di supporto al modello F24. In relazione a ciò, la Corte osserva che il limite in questione non appare, in astratto, una misura inadeguata, dato che la compensazione può effettuarsi per importi molto elevati e senza una preventiva verifica dell’esistenza del credito. Osservazione, quest’ultima, che non corrisponde però esattamente alla situazione italiana, vista la necessità, per compensazioni superiori a 15mila euro, di sottoporre la dichiarazione da cui emerge l’eccedenza al cosiddetto visto di conformità.
Il rimborso
La Corte afferma di non essere in grado, sulla base degli atti di causa, di entrare nel merito stabilendo se la soglia per le compensazioni del nostro Pese sia tale da raggiungere efficacemente l’
In ogni caso, precisano i giudici di Lussemburgo, se è vero che la Corte ha il compito di dare delucidazioni sulla norma comunitaria al giudice del rinvio, è quest’ultimo che deve valutare se la normativa nazionale rispetta il principio di proporzionalità.
In conclusione, secondo la Corte Ue, l’articolo 183, comma 1, della direttiva Iva deve interpretarsi nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella italiana, che limita la compensazione dei debiti tributari con crediti Iva fino ad un importo massimo determinato per ogni annualità, a condizione che l’ordinamento preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d’imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole.