Imposte

Compensi degli sportivi dilettanti: i giudici riscrivono il regime fiscale

Una pronuncia della Corte d’appello di Roma mette a rischio il regime di favore. Nei rapporti continuativi sono esclusi i redditi diversi

di Andrea Mancino e Gabriele Sepio

Lavoro e mondo sportivo: sempre più necessario trovare una definizione unitaria dell’inquadramento dei rapporti di collaborazione e lavorativi. Un aspetto questo emerso anche dai recenti orientamenti giurisprudenziali (Corte di appello di Roma, sezione lavoro del 23 agosto 2021) con cui sono state evidenziate alcune ricorrenti criticità che caratterizzano i rapporti e i compensi di chi opera nel settore dello sport.

L’attuale previsione contenuta nell’articolo 67, lettera m) del Tuir, infatti, consente di erogare a chi collabora nell’esercizio di attività sportiva dilettantistica in favore di enti sportivi, somme qualificabili come redditi diversi che sono destinatari di un regime fiscale e previdenziale favorevole (ovvero non concorrenza alla formazione del reddito entro il limite di 10mila euro ed esonero dalla contribuzione Inps e dai premi assicurativi Inail senza soglia quantitativa).

Seppur i diversi orientamenti di prassi (si veda la circolare Ispettorato nazionale lavoro 1/2016) e di dottrina abbiano tentato di delimitare i confini di tali norme previste per le collaborazioni sportive, l’avvento della riforma dello sport ha evidenziato la necessità di fissare dei criteri chiari e univoci per chi, operando in questo settore, stipula contratti con i collaboratori.

Una necessità, questa, resasi ancora più evidente con l’intervento della Corte di appello di Roma che ha inteso riqualificare i redditi percepiti da un istruttore nell’alveo del lavoro autonomo sulla base del possesso dei requisiti professionali (diploma di istruttore rilasciato da un organismo affiliante), della continuità del tempo della prestazione resa e dei compensi non simbolici percepiti.

Un orientamento che muove dal presupposto secondo cui la qualificazione deve essere effettuata prescindendo dalla natura del rapporto instaurato con l’ente sportivo e valutando unicamente il carattere professionale della prestazione resa. Qualora dovesse essere accolta tale impostazione, si rischierebbe di non poter più erogare a chi collabora nell’esercizio dell’attività sportiva somme qualificabili come redditi diversi con grave rischio per tutte le associazioni e società sportive dilettantistiche di vedersi contestare il mancato adempimento agli obblighi previdenziali e assistenziali.

A ben vedere, infatti, secondo tale orientamento giurisprudenziale i rapporti di natura continuativa e professionale, anche quelli al di sotto dei 10mila euro (in base all’articolo 69 Tuir), dovrebbero essere oggetto di regolari contratti di lavoro, lasciando ai soli rapporti occasionali, quali i premi classifica o i gettoni di modico importo corrisposti in occasione di manifestazioni, l’applicazione degli articoli 69 e 67, comma 1, lettera m del Tuir.

Criticità queste che non sono risolte nemmeno dalla riforma dello Sport, in quanto l’attuale testo del Dlgs 36/2021 che si occupa di riordinare la materia del lavoro sportivo, sembra apportare solo ulteriori oneri ed incertezze (si veda l’altro articolo).

Basti pensare, ad esempio, alla discutibile distinzione tra lavoro amatoriale e lavoro sportivo basata unicamente sull’entità del compenso corrisposto (10mila euro) o alla possibilità di inquadrare il lavoratore sportivo in tre tipologie contrattuali. Questioni che, a ben vedere, richiedono quanto mai una revisione della disciplina come pensata dal legislatore al fine di fornire certezze che il mondo dello sport attende da tempo.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©