Con i big data viene meno l’asimmetria informativa
Le presunzioni legali (relative) costituiscono una deviazione, una sorta di eccezione, rispetto all’ordinaria ripartizione dell’onere della prova nelle vicende del diritto tributario (si veda l’altro articolo in pagina). La loro presenza è sempre stata giustificata in ragione della posizione di “inferiorità conoscitiva” dell’amministrazione finanziaria rispetto ai fatti indice di capacità contributiva imputabili al contribuente. La ratio è da ricercarsi nell’«interesse generale alla riscossione dei tributi contro l’evasione» (in più occasioni, Corte costituzionale) agevolando la parte (l’amministrazione) che in prima battuta, perché estranea rispetto alla sfera del soggetto destinatario del prelievo, risulterebbe tenuta a provare certi fatti. Così, in presenza di presunzioni legali relative – per quelle “semplici” l’onere probatorio compete sempre in primo luogo alle Entrate – si realizza l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, il quale deve provare che il fatto ignorato non corrisponde al vero o che l’inferenza presuntiva stabilita dalla legge non è applicabile al suo caso.
Le presunzioni legali relative si possono individuare quando la norma stabilisce espressamente l’onere di prova (non quello di dimostrazione, che attiene la fase istruttoria) in capo al contribuente, oppure quando (sempre la norma) utilizza la formula «si presume», «si considera».
Un esempio è quello delle società non operative. La norma (articolo 30 della legge 724/1994) prevede che se la società non supera il cosiddetto “test di operatività” si considera presuntivamente non operativa. Così che il contribuente deve fornire la prova contraria dimostrando di essere un soggetto che svolge un’effettiva attività economica. È errato, infatti, il convincimento che la società debba dimostrare le situazioni oggettive che hanno impedito di conseguire i ricavi minimi, perché questa dimostrazione (non prova, appunto) riguarda la fase di interlocuzione preventiva (facoltativa) dell’interpello.
Proprio la tematica delle società non operative consente di rilevare che l’esistenza di presunzioni legali nell’ordinamento – giustificata dall’obiettivo di raggiungere la simmetria sostanziale conoscitiva delle parti – deve rispettare dei canoni minimi.
In primo luogo, va garantita l’effettiva possibilità di provare che il fatto presunto non si è verificato. Il diritto di difesa deve risultare effettivo: a una presunzione legale non può corrispondere una prova diabolica, così come l’onere della prova non può riguardare i cosiddetti “fatti negativi” (è il caso della presunzione “giurisprudenziale” – si veda il grafico – dei soci delle società a ristretta base partecipativa).
Inoltre, le presunzioni legali devono fondarsi su indici ragionevoli di capacità contributiva. Parametro che non pare rispettato per le società non operative, per le quali risultano fissati ex lege dei parametri indirizzati più al gettito che al criterio di ragionevolezza (si pensi al coefficiente per gli immobili).
Più in generale, occorre chiedersi se le presunzioni legali hanno ancora una giustificazione nel panorama tributario, visto che con tutti i dati che ora dispone l’amministrazione non pare si possa più individuare quella asimmetria conoscitiva tra le parti che ha legittimato l’adozione di queste presunzioni.