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Cooperative compliance più estesa: la scommessa del «Piano Colao»

L’ampliamento va accompagnato con un ripensamento di strutture e prassi operativa di Entrate e Guardia di Finanza

di Graziano Gallo

L’istituto più avanzato di tax compliance è costituito dal regime di adempimento collaborativo per le grandi imprese, introdotto dal Dlgs 128/2015, riservato alle imprese con fatturato superiore a 5 miliardi di euro (soglia così ridotta dai 10 miliardi iniziali grazie al Dm 30 marzo 2020) che si dotino di un efficace sistema di rilevazione, misurazione controllo e gestione del rischio fiscale approvato formalmente dall’agenzia delle Entrate in sede di accordo preventivo con il contribuente.

Il paragrafo 5 del primo capitolo del Piano Colao («Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022»), nell’ambito delle misure a sostegno delle imprese e del lavoro, chiede espressamente che si adottino incentivi all’adozione di sistemi di tax control framework. Molto correttamente, nella descrizione del contesto viene rilevato che «la rilevanza quasi automatica delle violazioni fiscali anche in ambito penale costituisce uno degli elementi rilevanti che possono pregiudicare la scelta di investire in Italia» e che «l’istituto della cooperative compliance (introdotto nel 2015) consente di istituire un dialogo preventivo con l’amministrazione finanziaria ma è ancora insufficiente a causa:

della mancata previsione della disapplicazione delle sanzioni penali per effetto dell’accesso al regime;

e dell’esistenza di soglie di fatturato tuttora elevate (5 miliardi di euro)».

Sulla base di tali considerazioni si propongono talune azioni.

La prima consiste nel prevedere la non applicazione delle sanzioni amministrative e penali in ipotesi di contestazioni nei confronti di soggetti ammessi al regime di adempimento collaborativo. Ad oggi, infatti, è solo prevista una riduzione alla metà dell’ammontare delle sanzioni amministrative, mentre nulla è espressamente contemplato per quelle penali. A complemento di tale prima azione suggerita si colloca (ultima delle cinque indicate dal Piano) quella che chiede l’abbassamento della soglia di ammissione al regime (la norma originaria prevede che seppure gradatamente nel tempo, tutte le imprese con fatturato sopra i 100 milioni di euro dovrebbero poter essere ammesse al regime).

La seconda azione proposta (terza nell’ordine indicato dal Piano), di portata ancora più dirompente, è costituita dall’estensione del modello di penalty protection in vigore già da anni per le violazioni in materia di prezzi di trasferimento a tutte le violazioni tributarie. La proposta prevede lo stesso scudo amministrativo e penale previsto per i soggetti ammessi al regime di adempimenti collaborativo anche a favore dei soggetti diversi, a condizione che:

si siano comunque dotati di un tax control framework (Tcf);

di tale circostanza abbiano reso edotta l’agenzia delle Entrate mediante comunicazione in dichiarazione;

in sede di verifica, il modello venga considerato idoneo in quanto rispondente ai criteri individuati dall’amministrazione in apposito provvedimento, sulla base dell’esperienza derivante dalla cooperative compliance.

La terza azione suggerita arriva a proporre, per i contribuenti non aderenti al regime di adempimenti collaborativo e che nemmeno si siano dotati di Tcf, la non applicazione delle sanzioni amministrative e penali in ipotesi di contestazioni afferenti specifiche operazioni con riferimento alle quali il contribuente abbia predisposto idonea documentazione preventivamente comunicata all’amministrazione finanziaria con specifiche modalita, individuate in apposito provvedimento.

A contrappeso dei potenti incentivi alla tax compliance sin qui descritti, il Piano propone anche il raddoppio delle sanzioni amministrative e penali edittali nei casi in cui le misure suindicate, adottate dal contribuente, fondino le proprie risultanze su documenti falsi o altri mezzi fraudolenti dei quali sia dimostrata la specifica idoneità ad indurre in errore l’amministrazione.

Se a questa parte del Piano dovesse essere dato seguito con conseguenti provvedimenti normativi, potremmo parlare senza ombra di dubbio di un cambiamento epocale nei rapporti tra Fisco e contribuente. L’esperienza fatta fino ad oggi induce, tuttavia, a non lasciarsi trasportare prematuramente da facili entusiasmi: a distanza di cinque anni dall’introduzione del regime di adempimento collaborativo, l’agenzia delle Entrate si è dotata di strutture che a stento riescono a gestire il rapporto con le circa 40 società ad oggi ammesse al regime, circostanza che ha indotto poi il legislatore a non abbassare la soglia di ammissione a 100 milioni, come avrebbe dovuto fare al termine del periodo sperimentale (conclusosi il 31 dicembre 2019). L’estensione potenziale a praticamente tutte le imprese del regime di cooperative compliance necessiterebbe una profonda rivisitazione delle strutture e della prassi operativa dell’agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza: una vera e propria rivoluzione che richiederà ancora un lungo cammino e di cui il Piano Colao potrebbe essere domani ricordato come il manifesto fondativo.