Credito fondiario, ipoteca lunga
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La vicenda riguardava la domanda di rinnovazione di un’ipoteca presentata all’agenzia delle Entrate il 30 giugno 2016, cioè 26 anni dopo l’iscrizione originaria, risalente al 3 ottobre 1990. Il conservatore aveva pubblicizzato la formalità con «riserva» (annotata in base all’articolo 2674-bis del Codice civile) siccome, a suo dire, non c’erano i presupposti per confermare il gravame dal momento che la lettera dell’articolo 2847 del Codice civile prevede che l’«iscrizione conserva il suo effetto per 20 anni dalla sua data» e «cessa se non è rinnovata prima che scada detto termine». La norma è preordinata a tutelare la sicurezza della circolazione immobiliare e l’affidamento dei terzi.
Il creditore ipotecario si era quindi rivolto all’autorità giudiziaria affinché ordinasse al conservatore «di rendere definitiva l’iscrizione», dal momento che al contratto di mutuo costituente il titolo dell’iscrizione si applicava la legge 175/1991 (in materia di credito fondiario), il cui articolo 6, derogando alla norma generale (secondo cui dopo 20 anni le ipoteche si estinguono), attribuiva al creditore il diritto di conseguire la rinnovazione «in ogni tempo».
Posizione condivisa dal Tribunale che, a sua volta, ha osservato che il mutuo fondiario era regolato dalla disciplina contenuta nell’articolo 4, comma 3, Dpr 7/1976, per la quale l’«ente ha diritto, in ogni tempo, di conseguire senza spese la rinnovazione delle ipoteche, ferma restando la responsabilità dei conservatori per la rinnovazione d’ufficio».
La successione delle norme sul credito fondiario
Per comprendere le conclusioni cui sono giunti i giudici capitolini occorre considerare le norme che si sono susseguite nel tempo in materia di credito fondiario:
- la legge 175/1991 ha disposto l’abrogazione del Dpr 7/1976 (e quindi anche dell’articolo 4, comma 3); tuttavia;
- il medesimo provvedimento abrogativo (articolo 27, legge 175/1991) ha stabilito che le «operazioni di impiego e provvista già perfezionate», per le quali era già stato «stipulato il contratto alla data di entrata in vigore» della legge 175/1991, continuavano «ad essere disciplinate dalle norme anteriori» (e, quindi, dall’articolo 4, Dpr 7/1976).
Tale situazione si è protratta a prescindere dal fatto che la legge 175/1991, a sua volta, sia stata abrogata dal Testo unico bancario (Dlgs 385/1993), in vigore dal 1° gennaio 1994, dal momento che quest’ultimo ha confermato che i «contratti già conclusi e i procedimenti esecutivi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo restano regolati dalle norme anteriori» (articolo 161, comma 5).
Vecchie regole per i contratti ante 1993
Tirando le fila di questo quadro normativo emerge che i contratti stipulati entro il 1993 rimangono assoggettati alle regole pregresse, per cui il diritto alla rinnovazione del gravame iscritto in forza di queste norme sul credito fondiario sussiste «in ogni tempo». La legge speciale sul credito fondiario è infatti ispirata «dall’intento di fornire maggiori garanzie agli enti di credito fondiario», nel proposito di «incoraggiare la stipulazione di mutui a tassi d’interesse inferiori a quelli di mercato».
Peraltro, occorre osservare che altra parte della giurisprudenza si era prima d’ora occupata della questione e, nonostante isolati precedenti (Tribunale di Roma 7 giugno 2012; nello stesso senso: risoluzione del ministero delle Finanze del 27 settembre 1991, prot. n. 350855) aveva sempre ritenuto che, nell’ambito del credito fondiario, la rinnovazione dell’ipoteca è possibile «in ogni tempo» .
Il provvedimento è senz’altro importante perché sollecita l’esigenza di effettuare controlli più stringenti, anche ultraventennali, per verificare se l’immobile in contratto sia stato interessato da operazioni di credito fondiario, eventualmente cancellando le relative ipoteche.